Marta Ottaviani
Quello che fino a ieri era un fondato dubbio ora è una certezza. Il prossimo 8 novembre per la Turchia a Bruxelles ci saranno solo cattive notizie. Il Financial Times ha anticipato parte della bozza del rapporto della Commissione europea, che verrà presentato fra poco più di una settimana e che contiene critiche a dire poco pesanti contro il Paese della Mezzaluna.
Alcuni Paesi, fra cui la Gran Bretagna, non hanno nascosto i loro timori sul fatto che il cammino delle riforme in Turchia abbia subìto una battuta di arresto e che il dibattito sull'ingresso in Unione europea abbia prodotto un effetto contrario, dando luogo a un atteggiamento di chiusura e mettendo in serio repentaglio le trattative per l'adesione. «Ci saremmo aspettati un nuovo impulso alla modernizzazione del Paese a partire dall'inizio dei negoziati lo scorso 3 ottobre - hanno detto da Bruxelles -. Se la Turchia si fosse mossa di più, se fosse stata maggiormente tutelata da libertà di espressione e salvaguardati i diritti umani, lo scenario sarebbe stato più promettente».
Nel rapporto della Commissione vengono evidenziati tre aspetti che rischiano seriamente di danneggiare i negoziati per l'adesione: la questione di Cipro, la difesa della libertà di opinione e l'eccessiva ingerenza dei militari nella vita politica.
L'apertura degli scali turchi alle navi e agli aerei provenienti dalla parte greca di Cipro, in questo momento è l'ostacolo più difficile da aggirare. Per la Turchia acconsentire agli scambi commerciali con l'isola equivarrebbe al suo riconoscimento. Ma Ankara non ci sta. Le posizioni dell'esecutivo guidato da Recep Tayyip Erdogan sono note da tempo. L'Europa potrebbe far valere l'accordo riguardante l'unione doganale firmato nel 2005 proprio nella capitale turca, nel quale il Paese della Mezzaluna si impegnava ad aprire le frontiere doganali a tutti gli Stati membri dell'Unione, Cipro inclusa.
In queste settimane la Finlandia, presidente di turno dell'Unione europea, e il Commissario all'Allargamento Olli Rehn sono impegnati in una delicata opera di mediazione e stanno cercando di organizzare un incontro fra i ministri degli Esteri turco e greco, nonché con le relative comunità che vivono sull'isola. Sforzi ai quali lo stesso premier Erdogan guarda con scetticismo, se si pensa che ieri ha dichiarato sul Turkish daily news: «Discuteremo il piano finlandese, anche se non sembra troppo ragionevole». Rimangono poi i paletti fissati lo scorso 28 settembre dal Parlamento europeo di Strasburgo, che se da una parte aveva chiuso un occhio sul genocidio armeno, dall'altra aveva fissato come termine ultimo per l'apertura doganale in favore di Cipro la fine dell'anno, pena l'interruzione dei negoziati.
Sul fronte dei diritti umani il panorama non è certo più roseo. Bruxelles nell'ultimo anno ha chiesto più volte la cancellazione o comunque la modifica dell'articolo 301 del nuovo codice penale turco, che punisce l'offesa all'identità nazionale e per il quale sono finiti in tribunale (e poi assolti) il premio Nobel Orhan Pamuk e la scrittrice Elif Shafak. Nonostante gli ammonimenti Ue, in Turchia le incriminazioni di scrittori e giornalisti continuano. Se in un primo momento il governo di Ankara aveva lasciato intendere che era disposto ad aprire un dibattito parlamentare per la riforma della contestata legge, non è stato fatto ancora nulla di concreto. Anzi, parlando con la stampa qualche settimana fa il ministro della Giustizia, Cemil Çiçek, ha dichiarato che la discussione sull'articolo 301 non compare in agenda.
Infine c'è la questione dei militari. Nel rapporto anticipato dal Financial Times si legge chiaramente che «le forze armate continuano a esercitare un'influenza politica significativa», intervenendo sui principali temi di politica interna ed estera del Paese come il nodo Cipro e la questione curda.
L'appuntamento è per il prossimo 8 novembre a Bruxelles. Difficilmente le premesse potrebbero essere peggiori.
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