L’Ulivo «blinda» il Senato per paura di far le valigie

Romano Prodi ha cambiato modello. Ai tempi della pasticciata legge finanziaria paragonò il suo governo a un caseificio, vantandosi di lavorare gli alleati come il casaro fa con il latte per ricavarne la mozzarella. E, tanto per essere coerente con quell’immagine, il mese scorso scelse Caserta per il vertice di maggioranza, città famosa per la reggia ma anche per la bufala che si produce nella zona. Dal caseificio il presidente del Consiglio è passato alla discarica, visto che nel governo ormai si raccolgono e smaltiscono come rifiuti le divisioni, i conflitti, gli sgambetti, gli intrighi e quant’altro ammorba la maggioranza. Alla quale per sopravvivere, tra vacui proclami di «autosufficienza» e «insostituibilità», non bastano più le stampelle dei senatori a vita. Si vorrebbe chiudere «a doppia mandata» il Senato e «buttarne le chiavi nel Tevere», come ha giustamente osservato Paolo Armaroli commentando una recente intervista di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori dell’Ulivo.
L’attività dei senatori è già stata ridotta di molto, come il Giornale va lamentando e documentando da tempo. Ma la Finocchiaro la vorrebbe ridurre ancora di più reclamando il consenso suicida dell’opposizione a questo progetto di organizzazione mensile dei lavori: «due settimane di attività delle commissioni, una dell’aula e l’ultima libera per consentire agli eletti all'estero di recarsi nei loro collegi», senza mettere a repentaglio il governo con le loro assenze. Poiché una settimana di lavoro parlamentare è fatta abitualmente di quattro, massimo cinque giorni, e considerando che le Camere si fermano per almeno tre mesi tra ferie estive, natalizie, pasquali e sospensioni imposte da congressi o raduni di partito, elezioni amministrative e altri accidenti, le sedute annue del Senato in aula dovrebbero variare da un minimo di 36 ad un massimo di 45 e quelle in commissione da un minimo di 72 ad un massimo di 90.
Non contenta di questo, la signora Finocchiaro ha esposto un’altra «idea», riconoscendone lei per prima il carattere «eterodosso». Su «certi temi», compresa la politica estera, «eventuali divergenze di singoli non dovrebbero essere considerati essenziali per la vita del governo». E ha invocato come «precedente» il dissenso della Lega nella scorsa legislatura dalla ratifica della Costituzione europea, che non costò la vita al governo di centrodestra. Ma la signora dimentica che anche senza i voti dei 17 senatori e dei 30 deputati leghisti la maggioranza d’allora conservava la sua autosufficienza, disponendo di un vantaggio di circa 60 seggi al Senato e di 100 alla Camera.

Per rovesciare Prodi basta invece lo starnuto di un senatore della sua coalizione, che lo stesso presidente del Consiglio in una goffa esibizione muscolare ha voluto così esigua.

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