L’ultima intervista esplosiva: «Farò saltare la moschea»

«Non voglio vedere un minareto nel paesaggio di Giotto», disse il 30 maggio scorso al «New Yorker»

Domizia Carafòli

«Non voglio vedere questa moschea. Prendo l’esplosivo e la faccio saltare». Esplosiva era stata l’ultima intervista che Oriana Fallaci aveva rilasciata il 30 maggio scorso a New York. L’aveva concessa a Margaret Talbot, giornalista del New Yorker, proprio il magazine di quegli intellettuali radical che la stessa Oriana aveva attaccato nel discorso pronunciato nel novembre 2005 (quando venne insignita dell’«Annie Taylor Award») per la loro condiscendenza verso gli islamici (vedi la pagina qui a fianco).
Nel lungo servizio sul New Yorker (il titolo era giustamente «The Agitator», l’agitatrice), la giornalista statunitense (già conosciuta per i suoi articoli sul magazine del New York Times e su riviste quali New Republic e Atlantic Monthly) rievocava la lunga carriera di inviata di guerra della Fallaci e ricordava che per decenni era stata «una delle più pungenti intervistatrici del mondo». Ricordava anche la battuta di un altro collega, il giornalista Robert Scheer, che dopo averla intervistata a sua volta aveva detto di provare pena per quelli che erano capitati sotto la sua penna al vetriolo, non soltanto i capi dell’islamismo, ma anche personaggi come lo Scià di Persia o Henry Kissinger (che di averla incontrata si pentì amaramente).
Colloquiando con la Talbot, Oriana Fallaci non si nascose certamente dietro i «forse» o i «se». Anzi. Soprattutto a proposito del contestato progetto che dovrebbe far sorgere una grossa moschea nei pressi di Colle Val d’Elsa. Progetto che la faceva letteralmente infuriare. «Non voglio vedere un minareto nel paesaggio di Giotto - aveva dichiarato senza mezzi termini la giornalista alla collega americana -, non voglio vedere questa moschea vicina alla mia casa in Toscana». E precisava il perché: «Non voglio vedere un minareto alto ventiquattro metri nel nostro paesaggio quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia».
L’insofferenza di Oriana nei confronti del mondo islamico aveva ormai raggiunto l’acme: di loro negli ultimi mesi non sopportava né giustificava più nulla. Ricordando le interviste a Gheddafi, ad Arafat, a Khomeini, li definiva «quei mascalzoni». Si compiaceva di essersi strappata il chador di dosso quando aveva incontrato il leader politico-religioso dell’Iran. Ora lanciava l’ultima provocazione: «Se sarò ancora viva, andrò dai miei amici a Carrara, la città dei marmi. Lì sono tutti anarchici.

Con loro prendo gli esplosivi e faccio saltare tutto in aria».
Era l’ultimo exploit della toscanaccia. La morte le ha risparmiato la vista del minareto e il canto lamentoso del muezzin. L’esplosivo è rimasto a Carrara.

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