Politica

L’ultima mano di Romano è un piatto al buio

Quella di Prodi è una partita a poker. Definitiva. In cui gli avversari sono gli ex amici

Il professore non sorride più. Le braccia conserte nascondono le carte. E la rabbia. Si aggiusta gli occhiali, continuamente, con un tocco netto al centro della montatura, tra le due lenti. È tre giorni che questa partita va avanti. Tutto congiura contro di lui. Romano Prodi sta giocando la mano finale.
Questa è una partita a poker. Vera. La risposta che la gente aspetta è una: il professore si alzerà dal tavolo o tenterà il tutto per tutto, giocandosi il piatto? I più sgamati dicono che questo è un dramma tipico del Texas Hold’em, quella variante del poker che vedete la sera in tv, con alcune carte scoperte sul panno verde. Prodi è a un passo dall’eliminazione. Ma potrebbe tentare un all-in. Prendere tutto il denaro che gli resta sul tavolo e versarlo sul piatto. È un atto disperato. Se perde è finito. Ma il poker politico italiano è ancora tradizionale. Niente versione texana. Qui, per perdere tutto, ci vuole un talento particolare.

Passo indietro. Tutto è cominciato lunedì. Mastella apre e punta forte. Dice: l’Udeur esce dalla maggioranza. Tutti pensano: cavolo, il gioco si fa duro. Ma nessuno batte ciglio. Prodi fa un gesto con la mano che significa: tranquilli. Berlusconi sorride. Gli altri si stanno interrogando fino a che punto quello del buon Mastella sia un bluff, l’ultimo colpo di un maestro. Qualcosa in mano deve averlo, altrimenti non avrebbe aperto col botto. È un buon giocatore, ma di solito non gioca d’attacco. È più uno da piccole puntate mirate. In questi casi comunque si va a vedere. Vede Veltroni, vede Prodi. Berlusconi chiaramente rilancia. Non ha nulla da perdere. Vuole finire subito la partita, eliminando Prodi. La vittoria da incassare è il consenso degli elettori.
Veltroni e Prodi puntano sulla fiducia alle Camere. Hanno lo stesso punto, una coppia di assi. Ma nessuno dei due può vincere perché gli assi sono finiti.

Si cambiano le carte. Mastella scandisce un servito carico d’orgoglio. La sua partita è facile. Lui il punto ce l’ha. Non deve fare nulla. Può solo sperare che nessuno batta il suo bel colore. Niente poker o scale, per favore, signori. Un colore servito non capita spesso e se non vinci piangi di brutto. Mastella non sogna un piatto strabiliante. Vuole guadagnarci bene con questa mano: un governo tecnico per far fruttare l’asse con Casini, una legge elettorale meno severa per i cespuglietti del Parlamento, un Marini premier di transizione. «Non voglio mica la luna» canticchia, stonando un vecchio refrain di Fiordaliso.

Berlusconi è il più tranquillo. Cambia una carta e sogna di incastrare una scala. Neppure reale. Questa non è una mano che non intende vincere a tutti i costi. L’importante è che Prodi perda. Deve rilanciare se il piatto piange e dire “vedo” quando gli altri rilanciano. Ma è necessario che il professore non si tiri indietro. Deve stuzzicare il suo orgoglio. Incalzarlo: «Vai, vai, caro Prodi, vai a vedere il bluff di Mastella».

Veltroni cambia tre carte. Ha una coppia d’assi. Non sa che gli altri due li ha pescati il suo alleato. Il suo sogno è una mano interlocutoria. Ma l’apertura di Mastella ha accelerato tutto. Sa che, prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti con la presenza, malandata, del professore a quel tavolo. Sperava di occuparsi della questione più in là. Ora non c’è più tempo.

Prodi non sa bluffare. È convinto che gli altri non abbiano molto in mano. Cambia carte ed è convinto di andare a vedere qualsiasi rilancio di Mastella e Berlusconi. Quello che non si aspetta è il rilancio di Veltroni. Ed è quello che accade. Prodi guarda le carte e vede che ha una misera doppia coppia. È spiazzato. Livido. Rancoroso. L’hanno messo all’angolo. Se passa gli restano i rimorsi: «Chissà se quelli bluffavano?». Se va e perde è la fine. È in bilico tra la resa e l’azzardo assoluto. Ci penserà. Lo show down è adesso.

Giù le carte.

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