Diceva Francis Scott Fitzgerald che «nelle vite americane non cè mai un secondo tempo». Bobby Fischer, il fuoriclasse degli scacchi, è morto in quella Reykjavik che trenta e passa anni fa vide il suo trionfo, un primo tempo unico e irripetibile che aveva in sé anche la sua fine. Ciò che lì resta, in fondo a una stradina, al primo piano di un palazzo che ospita il museo della Federazione scacchistica islandese, è qualche foto dellincontro di allora, qualche fumetto che ne illustra lo svolgersi delle ventuno partite, la scacchiera con le firme dei due contendenti, quasi uno sgorbio la sua, graficamente elegante quella del campione russo Boris Spasskij, i pezzi bianchi e neri che i due manovrarono, il cronometro che larbitro Lothar Schmid fece partire alle 17 dell11 luglio 1972.
Quella partita cambiò lessenza stessa degli scacchi, ispirò il musical più costoso mai portato sino ad allora sulle scene, Chess, con la musica degli Abba, e un disco dei Prefab Sprout, Cue Fanfare, in cui la guerra fredda che ne era stato lo sfondo, veniva ricordata in pochi, scarni versi: «When Bobby Fischers plane touches the ground/ hell take those Russian boys and play them out of the town,/ playng for blood as Grand Master should» («Quando laereo di Bobby Fischer toccherà il suolo,/ prenderà i russi e con i suoi scacchi li butterà fuori dalla città,/ giocando per il sangue come dovrebbe fare un Grande Maestro»).
Fa un certo effetto pensare che chi allora fu visto come il simbolo dellintelligenza occidentale e dellAmerican Way of Life, avesse negli ultimi anni della sua vita come proprio indirizzo e-mail, Us is shit, «Usa eguale merda». E in fondo, se si va a fare una disanima a mente fredda di quello scontro di scacchi trasformato in contesa ideologica, lo si potrebbe facilmente rovesciare. I due contendenti erano del tutto inadatti a rappresentare i sistemi politici dei rispettivi Paesi. Spasskij non era un comunista duro e puro, e non lo nascondeva, lasocialità e le mattane di Fischer lo rendevano agli occhi di molti connazionali un non-americano. «Come protagonista del mondo libero - scrisse Arthur Koestler sul Sunday Times - Bobby è del tutto controproducente». E ci fu anche chi scrisse al Washington Post osservando che Fischer «era lunico americano in grado di far tifare gli Usa per i russi».
Che allora questultimo fosse anticomunista, è un dato di fatto, ma aveva più a che fare con gli scacchi che con le ideologie. LUrss ne dominava il palcoscenico internazionale dallinizio del 900, vinceva i campionati mondiali ininterrottamente dalla fine della Seconda guerra mondiale, lo Spasskij del 72 era detentore del titolo dal 69, quando aveva trionfato sul compatriota Petrosian. Nato nel 43, Fischer era a 13 anni il più giovane campione juniores di tutti i tempi e poi il più giovane maestro internazionale della storia, ma già a ventanni sosteneva che «il controllo russo degli scacchi è ormai arrivato al punto di impedire qualsiasi competizione leale per il campionato mondiale». Si aggiustavano le partite fra loro, insomma, risparmiavano le energie, fisiche e mentali, per meglio usarle contro i non sovietici, ovvero lui... Cospiravano... Dalla metà degli anni 60 fino al fatidico 72 Fischer non pensò ad altro che a schivare le «cospirazioni», arrivare da sfidante alla finale, dimostrare di essere il più forte, luomo che metteva fine a un dominio pluridecennale.
«Non cè niente di anormale nel fatto che un giocatore di scacchi sia anormale. È normale» ha scritto Vladimir Nabokov. La frase è bella, ma ingannatrice. Se si dà uno sguardo ai grandi giocatori di tutti i tempi si troverà in essi lumanità più disparata: cè lastemio e il bon vivant, lateo e il religioso, il solitario e lentusiasta. Ciò che li accomuna, oltre alla mente brillante, è una solidità di carattere. Fischer aveva un QI superiore a 180 e una memoria prodigiosa, tale che ascoltando una conversazione in una lingua straniera e a lui sconosciuta, era in grado di ripeterla parola per parola. Non era colto, o istruito, gli piacevano il jazz, i fumetti, le astronavi e le automobili, le ragazze con le tette grosse, il ping pong. Marty Reisman, detto The Needle, LAgo, un mago di questo sport, disse che con la racchetta «era un killer, un massacratore a sangue freddo, giocava con ferocia, puntando alla gola dellavversario».
È questa determinazione, questa rabbia incanalata e controllata che lo rese unico. «Quando giochi con Bobby il problema non è vincere o perdere, è sopravvivere» confessò Spasskij anni dopo. Ed è ancora di Koestler, che assistette come giornalista allo «scontro del secolo», la definizione di «mimofante, una specie ibrida, lincrocio fra una mimosa e un elefante. I suoi appartenenti sono sensibili come le mimose per quanto riguarda i propri sentimenti e coriacei come un elefante nel calpestare quelli altrui».
Dopo quel «primo tempo», si diceva allinizio, la vita americana non diede a Fischer il secondo, ci fu solo un doloroso, trentennale intervallo. Nell81 finì in galera negli Usa, scambiato per un rapinatore e picchiato, nel 92, la rivincita a Belgrado del match con Spasskij, in piena guerra civile iugoslava, lo fece dichiarare fuorilegge dal governo americano, il suo anticomunismo divenne una sorta di antiamericanismo, il suo antisemitismo si rafforzò. Ironia della storia, era ebreo da parte di madre e da parte del suo vero padre, il fisico ungherese Paul Nemenyi, i suoi genitori erano stati simpatizzanti comunisti...
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