Un merito ce lha: ha trovato il modo di compattare il Parlamento. Erano anni, lustri, forse ere geologiche che non accadeva. A lui, Beppe Grillo, è bastata una parola: «Zoccole». E come dincanto le dame del parlamento si sono ritrovate tutte a braccetto, in trincea. Penna in una mano e carta bollata in unaltra. La querela, da incorniciare vista lunanimità bipartisan delle ricorrenti, ha ricompattato larco. Portavoce la leghista Irene Aderenti: «Grillo non si può permettere di delegittimare gratuitamente la rappresentanza femminile al Senato. Non può ergersi a giudice parziale contro tutto a prescindere, colpevolizzando tutti a tappeto come se lui fosse lunico santino puro e casto. Ci sentiamo profondamente lese nella persona e nel ruolo che ricopriamo, donne di maggioranza e di opposizione, con serietà e dedizione. Altro che zoccole! Quereliamo per diffamazione il signor Grillo». Inorridito anche Schifani che, stupito e rammaricato, «respinge le espressioni volgari e di insulto. Sì alle critiche, no alla delegittimazione delle istituzioni».
Lui, il giullare, era entrato in Senato in giacca e cravatta (mai visto così) ma con grinta da battaglia. Pronti, via ha attaccato: «Hanno scelto 993 amici, avvocati e, scusate il termine, qualche zoccola, e li hanno eletti. Questa Commissione, questo Parlamento, non hanno nulla a che fare con la democrazia. Sei persone hanno deciso i nomi di chi doveva diventare deputato e senatore». Tra i bersagli ovviamente ci è finito il Cavaliere, ormai un classico. E poi DAlema, Andreotti. Per non parlare di Cuffaro e DellUtri «eletti per meriti giudiziari». E «ma va là Ghedini» che «prende lo stipendio come deputato e come avvocato del presidente del Consiglio».
Un profluvio di accuse, insomma. Rivolte poi puntualmente anche alla Commissione Affari costituzionali, perché lui, il comico scomodo con lhobby da fustigatore della classe politica, settimane fa aveva tuonato sul web: entrerò in parlamento e ne uscirò con una data. Gli diedero peso in pochi. Invece Grillo a Palazzo Madama ci è entrato davvero e ha iniziato lo show. «Siete vecchi e antistorici. Siete venti e 18 leggono i giornali, voi andate da una parte e il mondo va dallaltra». In commissione però cè chi non gradisce: è la vicepresidente, Maria Fortuna Incostante (Pd), 56 anni, tuttaltro che in tarda età. Si sente chiamata in causa da quella parolina che a chi non è più giovanissima fa salire la mosca al naso e replica: «Se vogliamo insultarci, usciamo dallaula e ci insultiamo».
Ma Grillo non si è lasciato sorprendere: «Non mi riferivo allanagrafe, senatrice. Voi vi state informando sul Resto del Carlino, questo è il simbolo del vostro essere vecchi. Io ho questo» e alzando un computer aggiunge: «Mi informo sulla Rete, lei è fuori dalla Storia». Insomma... è il web, bellezza, avrebbe detto Humphrey Bogart. Ma Grillo è un comico, non un attore drammatico, anche se ieri non aveva nessuna voglia di ridere. «Sono incazzato come un bestia» ha attaccato. «Datemi una data di quando sarà discussa liniziativa popolare per lelezione dei parlamentari, per lasciare fuori i condannati e scegliersi il candidato anziché trovarselo nominato, e mi manderete via contento». Ma naturalmente lagenda è rimasta bianca: nessuna scadenza.
Grillo era entrato per andare allassalto della politica con la forza del popolo web, quello che aveva aderito alla sua iniziativa per promuovere una legge di riforma del parlamento. È finita con le grida nel deserto. «State per approvare una normativa sulle intercettazioni che limita la libertà dinformazione. Io sarò il primo condannato perché farò disobbedienza civile. La marea sta montando. Vedremo chi combina un reato, se chi fa la disobbedienza o chi fa le leggi. Abbiamo un centinaio di parlamentari che stabiliscono le norme ma sono fuorilegge».
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