L’ultima rivincita della lingua locale

Spot tv, siti internet, iniziative politiche, lezioni all’università: da nord a sud, gli idiomi territoriali vivono una nuova giovinezza. I sociologi: «Un patrimonio unico»

«Uiè spisa d'brisà». Non è russo e nemmeno arabo ma puro dialetto alessandrino doc che, scritto come si legge, significa «C'è odore di bruciato». Incomprensibile a chi è nato appena al di là del Tanaro, così come chi non è cresciuto proprio sotto la lanterna forse non potrà capire che «Son zeneize rizo reo strenzo i denti e parlo cieo» vuol dire «Sono genovese, rido poco e a denti stretti parlo chiaro».
Dialetti simili a enigmatiche sciarade, a rebus linguistici dalla soluzione spesso impossibile. Eppure oggi ritornano: nell'era della globalizzazione del linguaggio, dell'inglese passepartout, dell'idioma universale si riscoprono le lingue locali, quelle legate a un determinato territorio, che rimandano a un lessico familiare d'altri tempi, alla memoria collettiva, alla riscoperta della nostra storia e di un mondo dai confini molto stretti. Quasi un arcaico linguaggio in codice che paradossalmente sono proprio le nuove tecnologie a farci conoscere: basta collegarsi a internet, digitare su uno dei tanti motori di ricerca la parola «dialetto» (che deriva dal greco dialektos e significa letteralmente lingua parlata) e si scoprirà che sono migliaia i siti dedicati ai modi di dire e alle espressioni tradizionali locali, alla storia e alle origini del dialetto di una determinata città, ai dizionari bilingue, e persino a veri e propri corsi per imparare lo slang locale.
Il web «lumbard»
Un fenomeno sorprendente di cui si può tracciare persino una sorta di classifica: al primo posto della top 20 dei dialetti regionali più presenti in rete c'è il lombardo con oltre 330mila siti e pagine di cui 10mila dedicate soltanto al bergamasco, al secondo il veneto con circa 320mila citazioni, al terzo il laziale con ben 312mila, al quarto il ligure con 290mila tra siti e pagine, seguito dal toscano (285mila), dal siciliano (260mila) e dal pugliese con 250mila presenze in rete, fino ad arrivare al valdostano, al ventesimo posto, che si deve accontentare di 300 siti on line. «Il dialetto è come i nostri sogni, qualcosa di remoto e di rivelatore», diceva Federico Fellini che amava colloquiare in romagnolo, la lingua della sua terra d'origine. «Il dialetto è la testimonianza più viva della nostra storia, è l'espressione della fantasia». Ora sono in tanti a pensarla così e infatti non è soltanto il web a scoprire i dialetti. In questi mesi aumentano le iniziative politiche, dal nord al sud Italia, dedicate a chi vuole salvare il patrimonio linguistico locale: l'associazione Gioventura Piemontèisa che dal 1999 tiene corsi dedicati alle quattro lingue dialettali e alla cultura regionale ha avanzato una proposta di legge di iniziativa popolare per «il diritto alla lingua e all'identità del popolo piemontese» in modo che i quattro idiomi vengano insegnati a scuola, studiati all'università e che abbiano pari dignità con l'italiano, senza essere considerati lingue inferiori. In Campania, invece, il presidente del consiglio regionale Sandra Lonardo Mastella e il vicepresidente Salvatore Righi in un incontro con il consigliere Luigi Rispoli e con una rappresentanza di docenti, storici e cultori del dialetto partenopeo si sono impegnati a sollecitare la VI Commissione Cultura del Consiglio «affinché venga approvata la legge per l'insegnamento della lingua napoletana nelle scuole medie», mentre l'associazione L'altra Sicilia che ha sede a Bruxelles ha costituito un comitato promotore per varare un progetto di legge di iniziativa popolare che introduca non soltanto il bilinguismo nei documenti pubblici, nelle insegne, nei cartelli stradali, ma anche l'insegnamento del dialetto e della civiltà siciliana, dal teatro alla letteratura alla storia, nelle scuole e la creazione di un'emittente radiofonica e televisiva autenticamente siciliana.
Certo non sempre è facile intuire che se un napoletano esclama Nserviziu e ddiu vuol dire «prendersela con pazienza, con rassegnazione» e se un calabrese mormora Cumu t'ànnachi è come se in italiano affermasse «Quante arie ti dai». Eppure anche le aziende si adeguano. È quanto emerge anche da una ricerca effettuata da Meta Comunicazione che ha interpellato linguisti e sociologi per provare a comprendere se è giusto auspicare il revival dei dialetti oppure se la lingua in Italia dev'essere una soltanto: il 57% degli esperti ritiene che i dialetti siano una ricchezza culturale e storica. «La lingua dev'essere quella italiana, ma la ricchezza degli idiomi locali non può essere persa perché rappresentano un prezioso patrimonio legato alla cultura del territorio», sostiene il professor Mario Lavagetto, scrittore e docente di Teoria della letteratura all'Università di Bologna.
Dialetto per spot
Macari tu sicilianu?, anche tu siciliano? No? E allora cosa c’è di meglio che prendere lezioni di siculo on line, per imparare modi di dire e frasi idiomatiche, insomma lo slang di Palermo e dintorni. «Cu “I love Sicilia”, pì posta elettronica, ti dunano i pinnule di sicilianità, accussi addiventi nu veru picciottu». Parola della Sanpellegrino che sul suo sito www.aranciatasanpellegrino.it rigorosamente bilingue, in italiano e in siciliano, offre un corso di dialetto per corrispondenza.

Un’originale trovata pubblicitaria per lanciare le aranciate che sunnu fatte solu cu’aranci di Sicilia e che anche nella campagna televisiva devono dimostrare di appartenere all’isola superando la prova canto: per ambire ad essere spremute sono obbligate, infatti, a cantare un tipico brano siculo, Ciuri ciuri, se non ci riescono vengono scartate per sempre.

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