L’ultima tentazione dei leader: salire sul carro dei quesiti

Spiccioli di visibilità. Interessi di bottega. Segnali ai naviganti della politica. I referendum diventano per leader e leaderini, di destra, di sinistra e di centro, l’occasione buona per stare un po’ in vetrina al supermarket del consenso. Non ci credeva nessuno, a parte Di Pietro, quando i quesiti furono lanciati e invece il viaggio verso le urne è sempre più affollato: dunque si susseguono i distinguo, le posizioni articolate, le capriole e le svolte di chi vuole intercettare gli umori dell’opinione pubblica.
C’è un mix di incoerenza e opportunismo a sinistra. A puntare il dito contro Pier Luigi Bersani è un suo compagno di partito, l’ex ministro Franco Bassanini. Bassanini non gira intorno al tema: «Con l’allora ministro Bersani - spiega al Corriere della Sera - avevamo avviato le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali esattamente come fa l’articolo 23 che il referendum vuole abrogare».
Bersani il liberalizzatore ora fa retromarcia, si trasforma in capopopolo e dice no all’acqua privata. Uno slalom: del resto il vento tira da quella parte. E allora i quattro referendum diventano quattro sì. Sì all’abolizione del legittimo impedimento, anche se c’è già una legge che costringe il Cavaliere a venire in aula tutte le settimane. Ma, si sa, è il momento per dare la spallata al governo, naturalmente senza dirlo perché occorre la complicità dell’elettorato di centrodestra. E allora Bersani sposa il sì facile e rassicurante all’abolizione del nucleare, che dopo il disastro di Fukusyma fa paura a tutti, e dice no al Bersani che voleva riformare.
È comodo, molto comodo, e anche un po’ inebriante stare dalla parte giusta, quella politicamente corretta, quella della rivoluzione arancione, della svolta, del rinnovamento. Fabio Granata, uno dei colonnelli di Fli, non si lascia scappare l’occasione per annunciare un poker di sì. Per carità, ciascuno è libero di fare le proprie scelte, ma il siciliano Granata dovrebbe riflettere su un altro passaggio del ragionamento di Bassanini: «In Sicilia la distribuzione dell’acqua viene garantita da servizi di autobotte gestiti dalla mafia che con la privatizzazione perderebbe i suoi affari. È questo l’interesse del popolo?»
Non c’è tempo per rispondere a Bassanini. L’importante è salire sul carro referendario, l’importante è esserci, l’importante è farsi sentire con un voto slogan. Acchiappaconsensi. L’importante è scroccare un passaggio sul carro. Dove sale anche un leader consumato come Pier Ferdinando Casini. «C’è un enorme distacco fra classe dirigente e giovani - spiega il numero uno dell’Udc - non aumentiamolo con posizioni tattiche». Insomma, Casini prova a smarcarsi ancora una volta dal centrodestra ma vira a modo suo: vuole cancellare il legittimo impedimento, ben sapendo che così renderà più difficile la vita al premier, ma poi si schiera con il fronte del no per l’acqua. Un no sospetto, perché il suocero di Casini, Francesco Gaetano Caltagirone, è azionista di Acea che gestisce l’acqua a Roma. Insomma, Casini applica in tempo reale la famosa politica dei due forni. Di qua ma anche di là. Di fatto contro Berlusconi, ma stigmatizzando «l’uso politico dei referendum».
Calcolo. Furberia. Gioco di sponda con le angosce degli elettori e dichiarazioni in sintonia con la pancia del Paese. Il governo, dopo il dramma del Giappone, ha tirato il freno a mano sul nucleare e ha congelato gli investimenti. La Cassazione ha stabilito che il referendum si terrà ugualmente, il presidente del Consiglio ha detto che i quesiti - quello sul nucleare e pure gli altri - sono «inutili». Ma Roberto Cota e Luca Zaia, governatori leghisti, hanno un problema: Piemonte e Veneto sarebbero fra le poche ragioni candidate ad ospitare le centrali nucleari. E allora scatta la cosiddetta sindrome di Nimby, not in my back yard, non nel mio cortile. Dunque esprimono un sì sonoro alla decapitazione del nucleare che la maggioranza di cui sono autorevoli esponenti sosteneva fino al tracollo di Fukusyma. Anzi, Zaia infioretta il suo punto di vista con una frase allegra, tutta bollicine: «Sono contro il nucleare, a favore dell’acqua pubblica e del prosecco». Tre volte sì, con tanto di brindisi al popolo referendario. Lo stesso con cui vuole sfilare Alessandra Mussolini, desaparecida nella rivoluzione dei quarantenni del Pdl lanciata da Angelino Alfano. Anche lei si ritaglia un fazzoletto di spazio in edicola: «Il servizio su Chernobyl andato in onda ad Annozero era bellissimo. Andrò a votare al referendum contro il nucleare, per abolirlo». Persino un ex ministro berlusconiano dell’Economia come Domenico Siniscalco scappa dalle fatiche e dai rigori di una politica energetica impopolare: «Mi preoccupa l’ipotesi di gestire degli impianti così pericolosi. Voterò per l’abrogazione del nucleare». E pure lui trova il modo per riapparire sui giornali. Come la sempre più sorprendente Letizia Moratti.

Sconfitta da Pisapia, pur avendo promesso la fine dell’ecopass, ora scopre dentro di sè una vena barricadera: «No al nucleare e no all’acqua privata a Milano». Chissà se i promotori dei referendum gradiranno il suo endorsement.

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