Una voce flebile e di cartavetro, annaspa a fatica e intona brani come Silver Bells e Christmas Song con tanto di coretti e arrangiamenti sdolcinati. Bob Dylan torna a «bussare alle porte del Paradiso», ma in modo molto meno provocatorio che in passato. Signori ecco Christmas In the Heart, il nuovo album del più grande poeta del rock che si mette a giocare al Babbo Natale (da ebreo convinto poi folgorato dal cristianesimo ai tempi di Saved) come fecero Sinatra, Elvis e molte altre star. Solo che Dylan è Dylan e questo non è esattamente, anzi per nulla il suo ruolo; eppure prende quindici classici della tradizione natalizia (manca solo White Christmas) e, giocando la carta di un petulante melodismo, li cucina un po’ in tutte le salse. I dylaniani doc sono spiazzati, e lo sono ancora di più perché il cd, in uscita il 13 ottobre, potrà essere scaricato online in anteprima e in esclusiva dai clienti della Citibank. È una prassi ormai consolidata (l’ultimo cd di Herbie Hancock e di Paul McCartney erano addirittura in prevendita nella catena di bar Starbucks) ma se lo fa Dylan ha un altro peso. «Questo cd si vende solo online - specificano dalla banca - non ci saranno copie nelle nostre filiali».
Mezzo secolo di battaglie, visioni, provocazioni, immagini degne di Rimbaud e Baudelaire per calare le braghe davanti al nemico a 68 anni? Eh no, Bob - che noi «dylaniani» proviamo a difendere sempre e comunque - di attenuanti ne ha, e anche tante. Avrebbe potuto starsene zitto, godersi il successo di Together Through Life uscito da pochissimo (e quello di Modern Times che due anni fa lo ha riportato in cima alle classifiche a trent’anni da Desire), e proseguire la sua estenuante tournée senza fine (ripartita ieri da Seattle), senza giocare una carta così pericolosa per la sua immagine. Ma lui zitto zitto, anche se canta canzoni sotto l’albero, lancia una nuova e meritoria battaglia: tendere la mano a chi muore di fame. Le royalties di Christmas In the Heart andranno tutte all’associazione «Feeding America», che offre pasti gratuiti a milioni di bisognosi. «È una tragedia che solo in America più di 35 milioni di persone, di cui 12 milioni di bambini, vadano a letto senza mangiare e si sveglino senza sapere quando sarà il loro prossimo pasto. Spero con questo disco di poter aiutare qualcuno ad avere il cibo garantito», scrive Dylan nella prima pagina del suo sito web. E in più cederà i diritti sulle vendite del cd ad altre due associazioni benefiche britanniche.
E allora che volete da lui? Non è ancora il cavaliere senza macchia e senza paura di una volta? E poi non è lui quello che per primo ha dato la sveglia al mondo del rock dicendo che «i tempi stavano cambiando?». Il fatto è che Dylan è impenetrabile; lui non parla e chi lo ama è obbligato a fare al tempo stesso da difensore e da pubblica accusa. È il re dei cantautori e su questo non ci piove, ma sul resto ha ragione il suo manager, Jeff Rosen, che dice di lui: «È maniacale nel prendere iniziative straordinarie per tutelare la sua immagine che così cresce continuamente di valore». E la dichiarazione si adatta alla perfezione anche a questo nuovo cd, che probabilmente venderà uno sfracello di copie grazie ai 13 milioni di clienti della Citibank.
Perché l’album non è certo ciò che si aspetta un dylaniano, ma Dylan non avrebbe potuto interpretare il Natale diversamente. La sua voce cruda, ormai un incrocio tra un rutto e il rantolo di un anziano bluesman, è acconcia oggi più che mai al folk blues ma per queste canzoncine a tratti è davvero fuori luogo. Per dirla tutta I’ll Be Home For Christmas e O’ Come All Ye Faithful (ovvero Adeste fideles) sono cantate proprio male e Must Be Santa ha un arrangiamento da musical broadwayano. Dylan si mantiene a galla con l’asprezza gospel di Hark the Herald Angels Sing, con la spartana passionalità di O’ Little Town of Bethlehem, col senso bluesy del racconto di Christmas Song, con la rilettura di Here Comes Santa Claus un po’ canzonetta e un po’ ritorno alle radici cowboy di Gene Autry (che la portò al successo nel 1947).
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