Tunisi - Hanno alzato le serrande, timidamente. Lo ha chiesto la tv nazionale. Così qualche commerciante di Tunisi ha deciso di aprire ieri il negozio, nonostante la paura e la tensione. La popolazione ha bisogno di pane, di acqua, di farina, di olio e molti ieri sono rimasti ore in coda davanti ai fornai. È stato forse il primo giorno di calma per Tunisi dopo il dissenso e le proteste che hanno bloccato la città. Gli abitanti si avventurano fuori verso le otto, quando anche taxi e automobili iniziano a circolare, tre ore dopo la fine del coprifuoco. Sono ancora poche però le botteghe o i caffè aperti nel centro, attorno alla via principale, avenue Bourguiba, che è stata il teatro delle manifestazioni e delle violenze e che oggi è militarizzata.
È l’ora del dialogo in Tunisia, dell’annuncio di un nuovo governo. Ma se di giorno è l’unità nazionale a essere il centro delle attenzioni, la notte, quando il coprifuoco cala sulla capitale e sul resto del Paese, è ancora l’ora degli scontri, dei regolamenti di conti e dei saccheggi. Durante il week-end, dopo la fuga del presidente Zine El Abidine Ben Ali alla volta della Arabia Saudita, la rabbia popolare si è incanalata contro le proprietà e gli immobili dei familiari del rais e soprattutto del clan legato alla moglie. Leila Trabelsi e il suo entourage sono nominati in ogni conversazione come la causa scatenante della rivolta della piazza. «Siamo giovani e non abbiamo nulla - gridava ancora ieri un uomo di 30 anni durante una manifestazione contro la formazione del nuovo governo - loro avevano tutto», ha detto riferendosi alla «Famille», la famiglia presidenziale.
E oggi che la calma sembra lentamente tornare nella capitale, i luoghi simbolo del potere del clan Ben Ali assaliti dalla rabbia popolare sono diventati una specie di attrazione turistica capace di catalizzare le frustrazioni della popolazione. Sono giovani studenti, membri della borghesia, tassisti e lavoratori i tunisini che in queste ore sono andati a fare visita alle tre ville saccheggiate nei giorni scorsi da gruppi di giovani arrabbiati. Moncef Trabelsi, il fratello di Leila, abitava in una casa di 400 metri quadrati con piscina nel quartiere chic di Gamart, a nord ovest di Tunisi. Ora il luogo è devastato, le porte sono state divelte e c’è ancora chi se ne va con un souvenir tra le mani: un libro o qualche coccio. Anche altre due ville del clan a Tunisi sono state prese d’assalto: quella di Moez e quella di Adel, altri fratelli della ex Première Dame.
«La famiglia ha accumulato ricchezze lasciando fuori il resto della popolazione», racconta l’attivista e giornalista Kamel Labidi, spiegando così la rabbia della popolazione.
È soprattutto contro le proprietà e non contro le persone che si accanisce la rabbia della popolazione nei confronti dei vinti. Ma è stato versato anche del sangue: Imed Trabelsi, nipote del presidente, noto per essere finito in uno scandalo giudiziario in Francia per il furto di uno yacht, è morto in un ospedale militare dopo essere stato pugnalato. E molti altri assalti rimangono forse coperti dalle tenebre. Fino a due giorni fa si è sparato in molti quartieri della città durante tutta la notte e domenica sera, approfittando del coprifuoco, l’esercito ha circondato il palazzo presidenziale per stanare alcuni fedelissimi del presidente che sarebbero rimasti nascosti nei corridoi del potere. La residenza presidenziale si trova a Carthage, un quartiere non lontano dall'aeroporto. I passeggeri di un volo Roma-Tunisi, avvertiti dai parenti dell'incursione, durata ore, hanno applaudito entusiasti e cantato l'inno nazionale quando l'aereo ha sorvolato il palazzo presidenziale, circondato dai blindati. Qualcuno ha pianto. «Viva la Tunisia», è stato il benvenuto del capitano all’atterraggio.
Grandi momenti di ottimismo si mischiano in queste ore in Tunisia a tensioni e ombre che rendono instabile la situazione. E sono proprio gli scontri tra l’esercito e le guardie armate fedeli al presidente a rendere ancora difficili le notti di Tunisi.
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