L’ultimo oro del nonno volante «Ma questo non finisce ai ladri»

Aamodt, a 35 anni, è il vincitore più anziano. «Mio padre teneva le altre medaglie e gliele hanno rubate». Maier: «Le mani vecchie hanno tanta pazienza. Le mie e le sue di più»

Paolo Marchi

nostro inviato a Sestriere

Smarritosi in discesa Kristian Ghedina, il vero nonno volante delle Olimpiadi è André Kjetil Aamodt, norvegese di 35 anni (il prossimo 2 settembre), barba da nonnetto dei boschi e un’altezza dichiarata, un metro e 76 cm, che lascia dei dubbi, che se la sia fatta misurare con gli scarponi infilati? Più attendibile invece il peso, da torello: 90 chili. Impresa assoluta la sua ieri, quarto titolo olimpico in carriera, in un sabato di tanta neve che ha messo in crisi il programma e la viabilità, con il superG fatto partire una prima volta alle 11, poche le discese regolari perché presto la nevicata si faceva così fitta da obbligare gli organizzatori a sospendere tutto quando con il 18 stava per scattare l’italiano Fill. Non la prendeva bene il francese Dalcin, leader a tutta fortuna perché era stato l’ultimo ad avere beneficiato di condizioni accettabili. Iniziava una lunga attesa, risolta quando dagli altoparlanti sono uscite le note di «O sole mio», coincidenza che ha messo tutti di buon umore. E sole sarà, per una gara che entrerà nella storia olimpica.
Dalcin uscirà presto di linea e di scena. Passerà in testa prima Buechel (Liechtenstein) e poi Hoffmann (Svizzera). A seguire, ecco Bode Miller «Crazy Horse», cavallo pazzo che si confermava soprattutto crazy, inforcando una porta quasi non l’avesse vista. E si farà applaudire per essere rimasto in piedi grazie a un incredibile volo d’angelo su uno sci solo a quasi cento km all’ora.
E con il 25 sarà la volta di Aamodt, splendido per la leggerezza e la precisione della sciata. Su un fondo reso più morbido dalla nevicata, passerà in testa a ogni intermedio senza avere mai coscienza dell’efficacia della sua sciata tanto che all’arrivo impiegherà qualche secondo a rendersi conto dell’impresa. Si accomoderà accanto a Hoffmann, tremerà alla discesa del 30° e ultimo dei grandi a partire: Hermann Maier. L’austriaco sarà meno veloce in alto e più rapido in basso, fino a chiudere con un ritardo di soli 13 centesimi, terzo podio olimpico dopo i due primi posti di Nagano ’98, un pauroso incidente in moto e i 33 anni compiuti due mesi fa: «Mi chiamano ancora Herminator, ma sarebbe il caso di parlare di un Old Herminator vista l’età. Sì, ora sono arrabbiato per non avere sciato bene all’inizio, ma quando metterò la medaglia sul comodino di casa, capirò di essere stato fortunato, perché è solo colpa mia se non sono riuscito a recuperare tutto il distacco da Aamodt: potevo andare peggio».
E pensando agli anni del vincitore, Hermann dirà una cosa acuta: «Le mani vecchie hanno sempre un sacco di pazienza e le mie e quelle di André ne hanno ancora di più». Mani che saluteranno e abbracceranno tante persone, perché da ieri Aamodt è il più anziano olimpionico dello sci alpino: «Per due mesi non sono stato anche il più giovane», chiaro riferimento all’oro del ’92 nel superG di Albertville, bissato nel 2002 a Salt Lake City quando trionfò anche in combinata. Ed ecco alla cerimonia dei fiori farsi avanti con il mazzo il leggendario Toni Sailer, che a Cortina ’56 aveva 20 anni e tre mesi (e non 20 e 5 mesi come lo scandinavo). Dirà Aamodt: «È un onore essere premiato da lui che con Stenmark, Maier, Tomba... ha fatto la storia dello sci».
Ma è da mito anche il capitolo che lo riguarda: nessuno ha mai vinto tante medaglie quanto lui, venti tra Olimpiadi (4 d’oro, 2 d’argento e 2 di bronzo) e Mondiali (5-4-3): «Purtroppo quelle che ho a casa sono tutte copie. Questa non la darò a mio padre Finn perché la conservi, finirebbe per farsela rubare come le altre. Le teneva in un cassetto a casa sua in Norvegia (il figlio vive invece a Montecarlo, ndr) e i ladri se le portarono via due anni fa. Adesso la collezione è ricominciata, ma non ho mai dato un valore venale alle medaglie, per me contano per quello che rappresentano. Forse, quando sarò nonno (da un mese è padre di Erle, una bimba, ndr) le esporrò, adesso non ci penso».
E nemmeno pensa al futuro: «Non ho piani precisi circa il ritiro. Probabilmente questo è il giorno giusto, salutare tutti da campione olimpico.

Però lo dissi già quattro anni fa in America e invece rieccomi campione nonostante un male bestia al ginocchio pizzicato domenica in libera. Avere saltato la combinata mi è servito e magari l’oro mi spingerà a insistere. Chissà, forse ci rivedremo tra quattro anni a Vancouver e nel 2014 chissà dove».

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