nostro inviato a Pordenone
Dura, risoluta, caparbia. Aver perdonato il marito dopo che le ha ammazzato la figlia, indicando nella povera Sanaa il motore primo della tragedia che ha travolto la sua casa, non le è bastato. Ora punta il dito accusatore nei confronti di Massimo De Biasio, il fidanzato di Sanaa. «Non voglio parlare col fidanzato di mia figlia - dice Fatna Sharok -. Con il suo comportamento ha rovinato la mia vita e la mia famiglia».
Poteva essere il giorno della riconciliazione e del perdono vero, autentico. Ma forse è ancora troppo presto. Anche Massimo De Biasio non ce la fa. «No, non riesco ad accettare le scuse della famiglia. Non posso perdonare il padre di Sanaa», dice il trentunenne De Biasio respingendo il gesto di Mohammed El Ketawi, fratello del padre assassino, che chiede scusa a tutti. Dimentica, De Biasio, che sarebbe bastata una sua telefonata ai genitori di Sanaa, la richiesta di un incontro chiarificatore, ora che dice di aver addirittura parlato di matrimonio con Sanaa alla vigilia del dramma, per evitare una catastrofe che era nellaria.
Nella sala mortuaria dellospedale di Pordenone, alla presenza di una piccola folla - i parenti e gli amici della comunità musulmana, gli amici italiani, le donne velate che vegliano la morticina - si svolge il rito funebre, secondo il rituale islamico, del lavaggio e della purificazione della salma. Poi il corpo di Sanaa, che aveva voltato le spalle alle rigide regole islamiche della famiglia, e sognava un sogno italiano verrà portato a Rabat, in Marocco, e sepolta col capo rivolto verso la Mecca, come impone la famiglia, come hanno deciso mamma Fatna e zio Mohammed; come prescrive il mellifluo imam Ouatiq.
Tra Massimo, la madre e lo zio di Sanaa, Mohammed Dafani, durante la cerimonia non corre neppure uno sguardo. Neppure quando il capo della comunità islamica di Pordenone, il molto prudente Mohammed Ouatiq, sottolinea positivamente la presenza del fidanzato italiano di Sanaa, intonando il solito peana alla distensione e allintegrazione. Ma quando Massimo vede la piccola Wafaa, 7 anni, la più grandicella delle sorelle di Sanaa, corre ad abbracciarla, ed entrambi si sciolgono in lacrime. «Voglio occuparmi di lei e dellaltra sorellina» e anticipa che si costituirà parte civile nel processo e che in caso di risarcimento saprà essere vicino alle due bambine.
Massimo (che laltro ieri aveva escluso di partecipare alla cerimonia funebre, ma che ora dice di aver obbedito alle «ragioni del cuore») ce lha con la madre di Sanaa, con lo zio Mohammed, «con la famiglia che avrebbe potuto fermare El Ketawi. E se, aggirando la protervia del padre la coppia avesse chiesto il conforto, il consiglio, laiuto della madre di Sanaa? Macché», dice Massimo. «Era stata la stessa Sanaa a dire che sua madre era ancora più dura del padre, ancora più contraria al nostro legame». Poi Massimo De Biasio, che è rimasto mezzora da solo, di fronte alla salma della sua «promessa» racconta di un progetto matrimoniale che aveva preso forma proprio alla vigilia del dramma, in una cena a Lignano Sabbiadoro. Il che, poiché vogliamo credere che sia vero, aggiunge unaltra nota di crudele sgomento a una vicenda tragica che forse, con un po di buonsenso e di sensibilità, anche da parte di un giovanottone di oltre trentanni che ora invoca Sanaa - in una lettera scritta di getto, troppo di getto - come la sua «dea che sempre avrei voluto avere davvero» si sarebbe potuta scongiurare.
Massimo e Sanaa. Una storia damore che il giovane ristoratore pordenonese, non un Rambo nel difendere la donna che gli stava accanto, descrive come una tragedia alla Romeo e Giulietta, dipingendo se stesso come «il padre che le sorelline di Sanaa avrebbero voluto avere.
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