L’unico merito di Pecoraro: aver ridicolizzato i Verdi

Da ministro dell’Agricoltura del governo Amato prese un toro per una mucca (scusandosi poi così: «Potevo mica guardargli sotto...»). Da ministro dell’Ambiente (governo Prodi, quale altro sennò?) lanciò il celebre allarme: «Il riscaldamento globale dell’Italia è superiore di quattro gradi a quello del resto del mondo». E poi la pizza «patrimonio dell’umanità», il divieto del fumo nei parchi... Ad elencare le cretinate di Alfonso Pecoraro Scanio non si finirebbe mai. Però ora è tempo che la finisca lui. È tempo che tolga il disturbo.
Niente di personale, naturalmente. Anzi, da un certo punto di vista Pecoraro Scanio può essere annoverato tra i benefattori dell’umanità. Nessuno come lui, infatti, ha gettato e getta tanto discredito (e tanto ridicolo) sul movimento ecologista in generale e sui Verdi in particolare, facendogli perdere quella credibilità che consentì all’uno e agli altri di arricchire e far carriera. Da adesso, quando si sentirà parlare del buco nell’ozono, del global warming, del Protocollo di Kyoto o dello scioglimento delle calotte polari, verrà subito in mente l’ilare maschera di Pecoraro Scanio e tutto finirà, con rispetto parlando, a pernacchie. Se fosse un uomo, si sarebbe già dimesso. Questione di dignità, il rispetto che portiamo a noi stessi.
Senza che glielo facessero notare non solo esponenti dell’opposizione ma gli stessi compagni della maggioranza, avrebbe dovuto avere il coraggio civile e politico di riconoscere che il suo fermissimo no all’inceneritore o termovalorizzatore di Acerra, i suoi digrignanti no a quattro nuove discariche lo fanno il primo responsabile della catastrofe ambientale campana. Se fosse un uomo, alle prime avvisaglie della crisi sarebbe corso a Napoli: cosa ci sta a fare un ministro dell’Ambiente che quando l’ambiente (oltre che la salute) è seriamente minacciato se la squaglia? Un ministro che non ci pensa due volte a volare (con seguito di una trentina di persone) a Bali, dicesi Bali, dove si starnazzava di mutamenti climatici e rifiuta di fare una capatina a Pianura, che pure è dietro l’angolo? Ma Alfonso Pecoraro Scanio non appartiene a quella razza d’uomini. E dunque rimane inchiavardato alla poltrona e si guarda bene dall’andare sul luogo del suo delitto. Continua a governare il Paese, cioè noi. Anche perché glielo consente quell'altro mamozio, Romano Prodi. Per il quale il Paese può andare tranquillamente a farsi benedire, purché tenga - e tiene grazie ai Pecoraro Scanio - il governo. Deve essere questa la tanto vantata diversità antropologica della sinistra: la capacità di irridere il cittadino, di prenderlo per i fondelli, unita alla viltà nel non assumersi colpe e responsabilità, che sono sempre degli altri. In Pecoraro Scanio c’è anche una componente di sfacciataggine, la strafottenza macchiettistica del guappo ’e cartone che lancia sassi e nasconde la mano.
Solo che questa volta con i sassi, sotto forma di sacchi dell’immondizia, ha esagerato. E non può far finta di non averli lanciati lui, uno dopo l’altro, sulla testa dei napoletani. Nascondersi sotto la gonna di Prodi, lui che poi a suo dire le gonne gli piacciono così così, gli servirà forse a salvare la poltrona, ma non la faccia. Quella è ormai fatalmente marcata: faccia da buffone.



Nota: nel caso a qualcuno venissero strane idee, mi pregio ricordare che ove non si configuri come «gratuita aggressione» (e non si configura) ma come «forte critica» (il caso nostro) non è reato dare del buffone ad un esponente politico, massime se di «elevata posizione pubblica». Corte di Cassazione - sentenza Piero Ricca.

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