Massimo Malpica
da Roma
Tre anni dopo linizio del conflitto in Irak, a Roma i movimenti pacifisti e una parte della sinistra tornano a marciare contro la guerra. Cè Rifondazione, con Fausto Bertinotti, ci sono i Comunisti italiani, gli studenti di sinistra e i collettivi universitari, ci sono i bambini e i vecchi con la barba, cè ovviamente Caruso e cè don Vitaliano, e tra un carro allegorico di Berlusconi-Napoleone, bandiere jugoslave in onore di Milosevic e curde per Ocalan e striscioni che inneggiano allimpunità per gli «antifascisti milanesi» e all«unità tra persone, natura e animali», si rivedono anche le bandiere arcobaleno, nel lungo serpentone che parte da piazza della Repubblica e arriva alle 17 in piazza Navona. Ma non ci sono i Ds, e non cè Prodi. Per una parte del corteo non sarebbero i benvenuti. Già lo si intuisce quando, di fronte alla stazione Termini, cè un momento di tensione nella scelta delle precedenze, con i ragazzi dellUnione degli studenti che tentano di «resistere» a un sorpasso e vengono zittiti. Vola anche qualche ceffone, insieme a una frase sibilata come un insulto: «Voi siete come i diesse». Ma poi prevale la diplomazia, il furgone che era passato avanti rallenta e lascia passare gli studenti delUdu, ma come spesso accade il veleno resta nella coda.
Proprio qui due furgoni, il primo «animato» dal disobbediente Nunzio DErme, il secondo dei «comitati per lIrak libero», che precede uno striscione «con la resistenza in Irak e per lintifada in Palestina», chiudono il corteo, ma a una certa distanza dal resto dei manifestanti. Distanza non solo fisica, come la stessa ala dura non tarda a comunicare a mezzo megafono. Così, mentre qualche centinaio di metri più avanti i sound system dei furgoni diffondono le note tranquillizzanti della Mannoia, dietro parte un lungo coro: «Ma quale pacifismo, ma quale non violenza, ora e sempre resistenza». «Le truppe in Irak - urla un rappresentante dei resistenzialisti - sono truppe doccupazione, e lo sono anche quelle italiane, e combattere la loro presenza è un legittimo atto di resistenza». Anche sulla Palestina, la posizione è decisamente più radicale di quelle della sinistra del centrosinistra. «Vogliamo la liberazione totale della Palestina, vogliamo lapplicazione del modello sudafricano: chi lha detto che lunica soluzione è due popoli in due Stati?». Più avanti il «collettivo di ingegneria» sfila con uno striscione pacifista a geometria variabile («Accettiamo una sola violenza, ora e sempre resistenza»), ma è meno vistoso e resta «inglobato» nel grosso del corteo. Dietro, invece, DErme al microfono si esibisce in unapologia della guerriglia irachena, ricordando che «se in Italia non avessimo imbracciato le armi contro i nazifascisti non saremmo qui oggi», anche se la resistenza italiana non le usò contro gli americani, le armi. Poi DErme allarga in pieno spirito glocal la battaglia ad altri campi. Il consigliere comunale romano e leader di Action esprime la sua solidarietà «agli iracheni e agli abitanti della Val di Susa», «ai palestinesi e a chi a Civitavecchia si oppone al mostro della centrale a carbone». Dietro di lui, nel gruppo dei «Comitati per lIrak libero», dove «in rappresentanza della resistenza irachena» cè anche Jabbar Al Kubaisi, la protesta si allarga, ma in unaltra direzione. Non solo contro Berlusconi, ma anche contro Prodi, «la cui unica differenza è che le guerre vuole farle con la benedizione dellOnu», e poi il megafono strilla slogan contro «questi signori del centrosinistra che non sono venuti qui oggi perché non volevano avere nulla a che vedere con noi, che si sono tenuti lontani per motivi igienici». Ce nè anche per i promotori della manifestazione, «che ci hanno impedito di far parlare sul palco di piazza Navona Al Kubaisi».
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