da Roma
Il governo punta a dilatare il confronto sulle pensioni. Cesare Damiano lo fa capire chiaramente quando accenna alleventualità che le conclusioni del negoziato sulla riforma previdenziale potrebbero slittare oltre il 31 marzo. «Abbiamo di fronte una riforma complessa - precisa il ministro del Lavoro - ed andrà fatta con calma. Non ci sono tagliole. Limportante è arrivare ad una conclusione condivisa». Forse con le forze politiche e con i sindacati. Di certo, non con la Commissione europea.
Joacquin Almunia aveva apprezzato gli obbiettivi della legge finanziaria, a condizione che - una volta agito sulla correzione del deficit - il governo mettesse mano alle riforme strutturali accennate nel Dpef: pensioni, pubblico impiego, sanità ed enti locali. E in tal senso aveva ricevuto garanzie sia da Prodi, sia da Padoa-Schioppa, sia dai leader della maggioranza (Fassino compreso) incontrati in modo più o meno informale.
Ora, invece, Damiano sembra voler frenare sui tempi della riforma. Una posizione di stand-by che si traduce nellinviare ai sindacati messaggi sulla revisione dei coefficienti previdenziali (fermi dalla riforma Dini, 1995) e alle forze della maggioranza ipotesi di graduale riduzione dello scalone previdenziale previsto nel 2008 (quando per andare a riposo saranno necessari 60 anni detà e 35 di contributi). Ed a Padoa-Schioppa toccherà lonere di individuare le risorse per «coprire» i mancati risparmi (3 miliardi di euro il primo anno).
A ricordare come la tecnica dilatoria sulla riforma delle pensioni sia dannosa per la tenuta dei conti pubblici arriva uno studio dellOcse. Lorganismo dei Paesi più industrializzati segnala che senza interventi rafforzativi della riforma Tremonti-Maroni, la spesa pubblica italiana esploderà. Senza interventi in materia previdenziale, sanitaria e dellassistenza il debito pubblico italiano arriverà al 365% del pil nel 2050. Toccherà un rapporto più alto solo il debito portoghese (sfiorerà il 490%), a fronte di una media europea del 255%. Da qui, la pressante richiesta dellOcse di intervenire e in tempi rapidi in materia previdenziale, proprio per evitare ulteriori appesantimenti del debito.
E proprio landamento del debito pubblico preoccupa e non poco la Commissione europea, che ha sempre invitato il governo ad intervenire sulle riforme strutturali. Una nota positiva per landamento del debito, comunque, è venuta dal dato del fabbisogno del 2006, ridotto di oltre il 40% rispetto al dato del 2005. E il debito pubblico nazionale non è altro che la somma dello stock del debito sommato al fabbisogno di cassa annuale.
Quindi, il rallentamento del fabbisogno avrà effetti positivi sul debito del 2006; ma - verosimilmente - anche sul deficit (di competenza) valido per i parametri europei. «Ora per lItalia dovrebbe essere più facile - commenta Amelia Torres, portavoce di Almunia - riportare il deficit sotto il 3%».
Se non ci fossero stati gli appesantimenti decisi dal governo sul deficit del 2006 (sentenza Ue sullindeducibilità dellIva sulle auto di servizio e costi dei bond di Infrastrutture Spa), lobbiettivo di un deficit sotto il 3% si sarebbe potuto raggiungere già nel 2006. Il governo, a causa di questi maggiori oneri una tantum, stima per lo scorso anno un disavanzo al 5,7%. Senza questi appesantimenti, il deficit sarebbe stato intorno al 3,5%. Il buon andamento del fabbisogno di cassa potrebbe favorire una riduzione del deficit sotto il 3% già lo scorso anno. Un dubbio destinato a tenere banco fino al 1° marzo prossimo, quando Eurostat (su dati Istat) fornirà il livello del deficit ufficiale per lanno precedente.
E i conti pubblici restano terreno di confronto politico.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.