Nella classe politica che sta per andare al governo si afferma ogni giorno di più la «cultura del togliere», piuttosto che dell'aggiungere. Già durante la campagna elettorale la sinistra - e vieppiù la sinistra estrema, in grado di condizionare al massimo il futuro governo - annunciavano che tutte (tutte) le riforme del governo Berlusconi sarebbero state smantellate: un debole appello di Rutelli a salvare quelle «buone» fu ignorato o irriso.
Non è un caso dunque se la cultura del togliere, ispirata da una politica che si basa ancora sulla lotta di classe, finirà per togliere ai cittadini e al Paese diritti e priorità appena acquisiti. Si pensi alla legge sulla successione, che aveva liberato tutti gli italiani da una tassa odiosa e ingiusta: Prodi ha annunciato da tempo che verrà ripristinata: e a noi non resta che aspettare su quale livello di acidità classista si arresterà il balzello: per la proprietà di un appartamento di 80 metri, come si lasciò sfuggire dal cuore il futuro presidente del Consiglio?
Cultura del togliere sarà anche il limite che la sinistra opporrà alla modernizzazione dell'Italia: alla Tav in particolare e all'alta velocità in generale; o a una riforma della scuola che offre ai giovani un'ampia possibilità di scelta, elastica e reversibile, fin dall'adolescenza e a cui si preferirà un appiattimento livellatore di ogni diversità.
Non basta. Ieri Fausto Bertinotti, che non è più soltanto il capo di un partito, ma virtualmente la terza carica dello Stato, in un'intervista di Lucia Annunziata ha fatto due dichiarazioni gravi quanto indicative e preoccupanti, sulla cultura del togliere. La prima riguarda la legge Biagi: che indiscutibilmente ha prodotto occupazione, soprattutto giovanile, senza che i giovani scendessero nelle piazze come è accaduto in Francia. Anzi. Ma Bertinotti si è detto d'accordo con la Cgil nel chiederne l'abrogazione: «Come partito anche noi siamo per l'abolizione della legge Biagi, ma il programma dell'Unione contiene una mediazione per il superamento della legge Biagi che difendo con le unghie e con i denti». Fatto è, purtroppo non solo suo, che non si vede come possa difendere «con le unghie e con i denti» una mediazione che è stata indispensabile per formare il cartello elettorale, ma alla quale l'estrema sinistra è intimamente contraria. A ogni modo, quale che sarà la mediazione raggiunta, non potrà che risolversi nel frapporre maggiori ostacoli alle assunzioni: quindi per limitarle, come limiterà la competitività delle nostre imprese.
La cultura del togliere è ancora più evidente, e forse ancora più grave, nell'altra dichiarazione bertinottiana: «Vorrebbe una Mediaset dimagrita?» gli ha chiesto Lucia Annunziata. «Sì», ha risposto Bertinotti. «Ma per quanto riguarda le reti o la pubblicità?». «Sia per le reti, sia per la pubblicità». Bertinotti si dice invece contrario alla privatizzazione della Rai. Ora, che Mediaset sia una risorsa del e per il Paese è stato riconosciuto molti anni fa anche da D'Alema. L'azienda del presidente del Consiglio ha costituito e costituisce un fattore di crescita economica e un arricchimento di offerta, servizi e informazione per il cittadino. Per di più lo sviluppo tecnologico permette ormai possibilità quasi inesauribili di collegamenti e di antenne, cavi e satelliti, tali da permettere concorrenza e crescita.
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