L’uomo che ha previsto il crac: «Così i trader fanno milioni»

La scommessa al contrario. Il mercato che crolla, le azioni a picco. C’è chi punta sulla crisi, e vince. Accumula soldi a palate, perché ha puntato sulla sconfitta. Uno così è il protagonista di Das Kapital, un romanzo che riecheggia Marx, ma parla di altri capitali, quelli che circolano a Wall Street e dintorni. L’ha scritto Viken Berberian, libanese d’origine, analista in un hedge fund a New York per sette anni, ora consulente di fondi pensionistici a Parigi. Das Kapital è il suo secondo libro, è uscito l’anno scorso negli Stati Uniti («Coincidenza, due mesi prima che cominciasse la crisi dei mutui») e ora sta per essere pubblicato in Francia. Wayne, il protagonista, è un trader di Wall Street che approfitta dei periodi di crisi del mercato.
Come guadagna durante il crollo?
«È uno short seller, che vende azioni allo scoperto, azioni che non possiede: così guadagna sul declino altrui. È una strategia di investimento minoritaria, perché siamo abituati a pensare che il mercato salga sempre. È stata vietata per tre settimane negli Stati Uniti, ho sentito che è appena stata bandita in Italia. In America ora è di nuovo legittima».
Come ragiona uno short seller?
«Ha una mente intuitivamente contraria alla maggioranza dei trader: scommette che il mercato crolli, che il valore di una società precipiti. E ne trae profitto».
Ne ha conosciuti molti?
«Nell’hedge fund dove lavoravo, a New York, era una pratica diffusa. Il mio ex capo amava molto il short selling: analizzava i bilanci delle società per scoprirne i punti deboli e le possibilità di crisi in futuro».
Perché è una strategia sotto accusa?
«È una componente del gioco, però uno short seller non pensa alle conseguenze. L’unico obiettivo, l’unico valore per lui è il profitto. In un certo senso è anche una persona diversa dagli altri. Nel mondo della finanza è diffusa la convinzione che le formule e i modelli aritmetici permettano di prevedere le tendenze future. Ma quando arriva la crisi questi modelli si rivelano inutili».
Parla per esperienza?
«In tutte le crisi, nel ’29, nell’87, nel ’98 che ho vissuto di persona, predomina la casualità, il black swan, il cigno nero: un evento scatenante, raro e imprevedibile. Le previsioni aritmetiche non contemplano il black swan, ma chi gioca col cigno vince. Come Nassim Nicholas Taleb, autore del libro Cigno nero, mi ha confessato che, ultimamente, sta guadagnando bene».
Che cosa insegnano le crisi?
«La lezione è quella subita nel ’98 da Ltcm, il Long term capital management, un fondo di investimento che aveva garantito guadagni notevoli e che impiegava modelli scientifici. A Ltcm lavoravano alcuni premi Nobel. Poi all’improvviso la svalutazione del rublo ha causato perdite enormi a Ltcm e la paura ha contagiato molti altri fondi, spaventati dal crollo del modello perfetto».
Nel libro scrive della crisi islandese. Un’altra coincidenza o qualcosa è prevedibile?
«Parlo di alcuni investitori che vendono bond islandesi, puntando sul crollo della moneta. In effetti è quello che è successo in questi giorni. I segnali c’erano: troppa speculazione monetaria, troppa liquidità. Gli short seller scommettevano da mesi sulla svalutazione della corona».
Nella crisi sopravvive solo chi è senza scrupoli?
«Certo che no. Ora si riapre il dibattito sul capitalismo e sulla necessità di alcune regolamentazioni, di una supervisione del mercato che individui attività d’investimento davvero stabili e di una maggiore percezione del rischio, spesso trascurato per avidità».
Qual è la reazione comune?
«La reazione istintiva è la paralisi, la confusione. Ma il capitalismo ha in sé la sua forza, quella che Schumpeter chiamava distruzione creativa: cicli di crescita seguiti da distruzioni che, però, hanno in sé la forza per creare il nuovo. Ci sono società pronte a nascere, che ce la faranno. Non sappiamo ancora quando.

Ma questo è il momento in cui l’indagine finanziaria è più viva, l’analisi di una società ridiventa importante: è solo così che puoi scoprirne il valore, che non è soltanto quello di mercato, quello misurabile con i calcoli».

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