L’uomo che voleva l’Italia cattocomunista

Nino Andreatta ha vissuto una lunga e difficile prova, il silenzio della parola e dell’anima nella vitalità del corpo, quasi una prolungata agonia. Ciò che colpisce in primo luogo è il sentimento di questa sofferenza sua, della moglie e dei figli. E di tutti i numerosi amici che la sua opera di economista e di politico ha prodotto nel Paese. È stata una delle maggiori figure della Democrazia cristiana, ancora più importante nella storia segreta del partito che in quella pubblica ed istituzionale. Dire che Nino Andreatta nasce spiritualmente e politicamente da Giuseppe Dossetti è cosa nota: ma si può dire di più. Egli fu la realizzazione politica del dossettismo, l’uomo che fece di un orientamento e di una cultura la base di una politica che è oggi ancora viva, poiché ciò che possiamo chiamare il prodismo e infine il Partito democratico è opera sua ed è la realizzazione politica del dossettismo.
Nel pensiero di Dossetti l’avversario politico era l’intervento del papato in politica che soffocava la Chiesa e la politica italiana. La Dc e l’unità dei cattolici attorno ad essa definivano come politico il contenuto dei cattolici e Dossetti voleva una Chiesa popolare e spirituale che non trescasse con i poteri di diritto e di fatto della città italiana. E ciò, non in nome della laicità dello Stato, ma della dimensione spirituale della Chiesa dei poveri. L’obiettivo del dossettismo è l’unità dei cattolici con i comunisti in modo non subalterno, ma socialmente qualificato, in modo da comportare anche la demarxistizzazione ideologica del mondo comunista. Ed è questo disegno antico che vediamo realizzarsi nel Partito democratico di prossima istituzione e che non è un incidente di percorso ma una lunga marcia del dossettismo realizzato. Andreatta realizzò il dossettismo partendo da un’alleanza culturale con il mondo universitario e trovando nella politica economica e finanziaria il punto di contatto tra i capitalisti e banchieri del nord e i politici democristiani del sud, le due componenti più significative del sistema sociale italiano. Egli trovò in Ciriaco De Mita, il più brillante politico del Mezzogiorno dc, chi poteva esprimere a un tempo un rapporto fondante con i comunisti visti, come basi costituenti della politica italiana anche se alternativi alla Dc e con il capitalismo del Nord, con Agnelli e De Benedetti. È in questo disegno che prende forma l’operazione del quotidiano la Repubblica che Eugenio Scalfari usa come una clava contro i democristiani non demitiani e contro il loro alleato politico: il Psi di Craxi. È qui che avviene la teoria del cattolicesimo adulto che non prende ordine dal Vaticano e che agisce come partito laico in funzione delle proprie scelte politiche.
La politica di De Mita suppone la definitiva organizzazione del partito come federazione di correnti organizzate, che mediano i loro rapporti di potere. Avviene in questo modo la secolarizzazione della Dc, il suo divenire partito come mediazione degli interessi di potere delle varie correnti. Da allora l’avversario principale di Beniamino Andreatta fu Bettino Craxi, che seguiva la linea opposta: quella di portare la presenza impegnativa dei cattolici in una Repubblica italiana che metteva la firma da leader socialista al Concordato lateranense rinnovato. Andreatta disegnò la strategia del nuovo sistema politico che comportava la liberazione della Dc dal ricatto politico dei socialisti sul suo partito. Né la Chiesa né la Dc di Forlani furono in grado di salvare la Democrazia cristiana dalla crisi della sua identità culturale e dalla sua frammentazione politica. Ma Andreatta era esattamente colui che poteva indicare la salvezza proprio secondo la linea dossettiana in un patto di alleanza tra democristiani di sinistra e comunisti. Quando scoppia Mani Pulite ed investe proprio Craxi e Forlani (e più tardi Andreotti è processato come associato alla mafia), è finita la politica vaticana dell’unità dei cattolici.
Il dossettismo è stato realizzato e il vero stratega di questa operazione è Beniamino Andreatta. E Romano Prodi rimane il suo rappresentante. Ma non a caso sarà don Dossetti a benedire la pianta dell’Ulivo, un chiaro simbolo cristiano sulla alleanza tra democristiani e comunisti, privati l’uno della sua sostanza di partito cattolico e l’altro della sua caratteristica di partito rivoluzionario. Il punto di accordo è l’alleanza tra la grande borghesia del Nord che Repubblica puntualmente esprime, legata soprattutto al mondo bancario (vero controllore del capitalismo italiano che vive sul risparmio di uno dei popoli più risparmiatori del mondo), il Partito popolare occupato dalla sinistra di De Mita ed il Pds, che esprime un comunismo riformato in chiave postrivoluzionaria.
Da questo punto comincia una nuova storia: la discesa in campo di Berlusconi, come figura della società civile italiana della piccola e media industria, del mondo cattolico delle parrocchie, dei partiti laici democratici esclusi dall’alleanza costruita attorno alla secolarizzazione della Dc e alla decomunistizzazione del Pci. Ci vuole un simbolo a questa unità delle forze popolari a cui si oppone ora una forza del popolo che si autolegittima al di fuori dei partiti storici. Romano Prodi è l’unica chiave della combinazione tra postdemocristiani e postcomunisti. Il rappresentante del ruolo che Andreatta aveva giocato nell’operazione.
Andreatta ha fatto la storia d’Italia e non a caso gli omaggi diffusi alla sua memoria sono, oltre che un omaggio alla sua sofferenza, il riconoscimento della sua grandezza politica. Romano Prodi è il simbolo materiale dell’equilibrio che Beniamino Andreatta ha creato. Il dossettismo si è realizzato oltre il tempo e l’opera del suo creatore e del suo costruttore.


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