L’uragano Milanese investe la galassia di Via XX settembre

La prima vittima del «caso Milanese» rischia di essere non tanto Giulio Tremonti quanto il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. Con quanta pesantezza potrà adesso il ministro premere per la nomina di Grilli a governatore della Banca d’Italia, soprattutto considerando che a spingere in direzione opposta c’è un peso massimo come Giorgio Napolitano? Il fatto è che, come la più classica delle macchie d’olio, l’indagine su Marco Milanese si allarga e finisce per toccare l’intera galassia tremontiana. Una galassia eccentrica, composta da personalità le più svariate, italiane e straniere, non sempre potenti o influenti. Sempre intelligenti, come dimostrano gli epiteti rivolti al ministro Brunetta, ma questo è un altro discorso.
La galassia Tremonti è spesso in evoluzione. Prendete, per esempio, Fabrizio Palenzona, tremontiano a denominazione di origine controllata. Indossando il cappello di presidente Aiscat (l’associazione delle concessionarie di autostrade), e con tutte le cautele del caso, ha dovuto nelle scorse ore dire a Tremonti che la manovra, per quanto riguarda il settore, è da cambiare profondamente. Sul fronte della manovra hanno incominciato a smarcarsi dal tremontismo anche i segretari di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Bonanni soprattutto, che era riuscito a far digerire al pubblico impiego il congelamento per tre anni degli aumenti salariali - un vero e proprio miracolo di diplomazia - adesso dice basta agli interventi sulle pensioni e minaccia lo sciopero generale se la riforma fiscale non avvantaggerà i redditi medio-bassi da lavoro e da pensione. L’eventuale smarcamento di Bonanni, e di Angeletti con lui, potrebbe preludere a rapporti meno cordiali fra il ministro dell’Economia e Maurizio Sacconi, cislino al cento per cento.
Prima che l’«uragano Milanese» colpisse il centro della capitale, Tremonti aveva in mente di metter lingua nelle nomine alle authority di vigilanza, che hanno in vertici in scadenza. In particolare, il ministro aveva puntato gli occhi su Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Dopo aver digerito con l’aiuto dell’Alka seltzer la nomina di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea, ha ingaggiato una battaglia, nemmeno troppo sotterranea, per imporre come successore il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. Battaglia difficile anche per un Tremonti nel pieno della sua potenza di fuoco, figuriamoci adesso che dispone solo di polveri bagnate. Saranno Napolitano e Silvio Berlusconi insieme a decidere, e la nomina interna si fa più probabile. E difficilmente il ministro potrà dire la sua nella tornata di nomine alle autorità di vigilanza. All’Antitrust potrebbe andare Lorenzo Bini Smaghi, componente dimissionario del board della Bce. All’autorità sugli appalti verrebbe destinato Antonio Catricalà. Per sua fortuna, il tremontiano Giuseppe Vegas ha ottenuto la presidenza della Consob prima dello tsunami, e grazie alla proprie qualità. Sulle autorità hanno voce in capitolo i presidenti delle Camere, tutt’altro che «amici» del ministro.
Nelle prossime settimane l’attività di Tremonti dovrà essere concentrata, per forza di cose, sulla manovra. Sulla credibilità delle misure per ottenere il pareggio di bilancio nel 2014 il ministro dell’Economia si gioca la faccia nell’ambiente che frequenta con maggiore piacere, quello internazionale. A livello globale, Tremonti fa parte del gruppo delle «star». Christine Lagarde, fresca di nomina alla guida del Fondo monetario internazionale, è una sua fan. Eccellenti i rapporti con Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, e con il presidente della Commissione europea Manuel Barroso. Mentre l’Aspen Italia, di cui il nostro è presidente, conta poco o nulla nei fatti ma è utile fonte di contatti. Generale senza truppe, Tremonti si fa scudo delle sue relazioni - e diciamolo, anche dei suoi successi - a livello internazionale per fronteggiare i molti scontenti di casa nostra.
Scontenti che sono destinati ad aumentare in maniera esponenziale quando i senatori si accorgeranno che hanno a disposizione ben 48 ore - dal 19 al 21 luglio - per approvare la manovra. Gli unici emendamenti che hanno speranza di essere votati sono quelli che arriveranno alla commissione Bilancio di palazzo Madama, dal 13 al 18. Si parla di «miglioramenti», ma a saldi invariati. Poi la manovra sarà blindata dalla fiducia, e questo non farà piacere alla Camera. A spalleggiare il ministro in questo momento difficile resta il Partito trasversale della responsabilità.

«Ora serve un grande senso di responsabilità, il pareggio di bilancio nel 2014 è fondamentale», dicono insieme la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, entrambi colleghi di Aspen. Come si vede, il componente più forte della galassia Tremonti, l’alleato numero uno del ministro, non è una persona: è la crisi in Europa.

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