Sport

L’urlo di Savoldelli amerikano della val Seriana

Un’altra tappa favorevole alla squadra di Armstrong

Cristiano Gatti

nostro inviato a Revel

Il muratore più ricco della Val Seriana, l'unico muratore della Val Seriana che non si vergogni a vestire magliette rosa, lancia una bellissima mattonata anche nella vetrina del Tour de France. Fragore di vetrate ed esclamazioni di stupore davanti alla potenza del gesto, preparato prima con una lunga fuga assieme ad altri temerari, quindi scrollandosi di dosso negli ultimissimi chilometri due francesi inutili e furbastri, in conclusione rifinito con rimonta inarrestabile ai danni del norvegese Arvesen.
Sapore di Giro, sapore d'Italia, sapore di cose vere. Il grande appassionato di edilizia Paolo Savoldelli dimostra al mondo intero, che tende a considerare roba buona soltanto quella del Tour, quanto sia rispettabile e dignitoso il risultato della nostra corsa di maggio. È una tappa, non è l'intero Tour: ma può bastare per spegnere soprattutto una certa spocchia e una certa aria di superiorità di questi inguaribili sciovinisti.
Incredibile, che cosa possa essere il Tour nella stessa giornata. Per ore e ore è sbraco totale. Il gruppo dei migliori passeggia ad andatura amatoriale nella soleggiata campagna, lasciando quasi mezz'ora a fuggitivi di nessuna pericolosità. I giornalisti mangiano gelati sul traguardo preparandosi a raccontare povere cose. I tifosi sono perfettamente in linea con l'andazzo balneare, arrostendo salsicce negli improvvisati campeggi a bordo strada, tra vigne e girasoli.
Poi, improvvisamente, si accende una scintilla e la polveriera esplode. Come sempre, due corse in una. Davanti, Savoldelli approfitta della sua presenza nella fuga - una presenza inizialmente di puro controllo gregariale - per confezionare la sua (prima) bellissima e prepotente vittoria in Francia. Dietro, gli illustri piazzati della classifica cercano di rubarsi qualche secondo con tirate furibonde (ne perdono una ventina solo Moreau, Evans e Landis).
Il problema è che alla fine di tutte le battaglie vincono sempre gli stessi, come nei vecchi film di John Ford: i cow-boys. Nel caso specifico, quelli capitanati da Lance Armstrong. Sentire il bilancio: lui ha già vinto il Tour, la squadra ha vinto la cronosquadre, Hincapie ha vinto il tappone dei Pirenei, Savoldelli vince a Revel, e come dessert guidano pure la classifica a squadre (non dirà molto a prima vista, ma Montezemolo ci spiega da anni che è importantissima).
Calcolando che per il 2005 hanno già in cassaforte pure il Giro d'Italia, non restano molte parole da aggiungere: gli americani, arrivati nel ciclismo solo una quindicina d'anni fa, l'hanno letteralmente colonizzato. Simpatica divagazione: sommando i due Tour di Lemond ai sette di Armstrong, dal 1989 ad oggi i cow-boys hanno vinto in Francia nove volte su diciassette. Media superiore al cinquanta per cento. Se sembra comunque bassina, basti ricordare che l'Italia, culla storica di ciclismo e ciclisti, ne ha vinti due in quarant'anni (Gimondi 1965 e Pantani 1998).
Che dire: buon per Savoldelli essere finito in cotanta superpotenza. La fenomenale contabilità a stelle e strisce non va attribuita soltanto al talento unico di Armstrong, ma anche a un metodo - il solito metodo americano - che non lascia niente all'improvvisazione: grossi investimenti, grossi campioni, grosso lavoro, grossi risultati. In questa cornice ambientale, si comprende anche meglio perché il campione di Rovetta accetti docilmente di fare il maggiordomo in Francia dopo aver trionfato al Giro. Sono scelte.

Ci sono banchetti imperiali cui è bello partecipare anche solo da maggiordomi.

Commenti