Sorride perché ha pianto. Hillary s’è ripresa la strada e un pezzo di futuro con la voce rotta, incrinata, debole. Un minuto e mezzo di umanità vera o inventata, spontanea o studiata. Una risposta davanti a una trentina di donne. Il potere di una lacrima ha messo in fila la gente, ha fatto scrivere Clinton al posto di Obama. Una scossa di adrenalina, un antidepressivo naturale. Vittoria. Hanno scelto lei perché s’è emozionata, perché il ghiaccio s’è sciolto, perché s’è Obamizzata: il cuore prima della testa. L’America se ne frega delle strategie, adesso. Era un bluff? Era studiato? Meglio una buona interpretazione di una fredda realtà.
Quello che mancava a Hillary è arrivato lunedì sera davanti a quella tazza di caffè, quando s’è lasciata andare alla confessione di una sul ciglio di un precipizio. Lei che non era la solita lei, che era una donna normale e non la politicante brava, precisa, affidabile, puntuale, calcolatrice. La moglie, la madre, la professionista che finalmente ha una debolezza come tutte le mogli, le madri, le professioniste. La fragilità è la forza: o ti fa sprofondare o ti fa risorgere. Il New Hampshire ha avuto bisogno di credere che esiste una Hillary che si nasconde dietro una facciata glaciale e che invece sa essere calda. Le donne l’hanno coccolata, come se in quella scheda infilata nell’urna ci fosse una di loro in difficoltà, una combattente che sta perdendo, ma non vuole mollare e allora cede allo sconforto. Umano. Comprensibile. Accettabile. Povera Hillary, hanno pensato. Le hanno dato la spinta perché l’America adora le storie di chi sprofonda e poi risorge. Ecco perché la Clinton sorride alla folla. Quell’unica lacrima vale più di un comizio perfetto, di un attacco a Obama, di un programma chiaro.
Lo sa, lei: «Non fanno che parlarmi tutti della mia commozione». Allora forse davvero era tutto voluto, cercato, preparato. La donna che l’ha fatta piangere ha parlato, ha detto che ha votato per Barack. Resta il giallo che tra un po’ alimenterà voci e sospetti, accuse e retroscena. Hillary la tosta ha già mollato altre volte. In trent’anni di carriera politica ha costruito un’immagine precisa: quella affidabile, quella che sa, quella che non si spaventa. Poi ogni volta che ha scoperto che l’America non la sopportava così, ha riscoperto l’emozione. Quelli che la detestano dicono che non trasmette nulla. Tutti dietro alle battute del comico David Letterman: «L’impegno ambientalista di Bill contro il surriscaldamento globale è cominciato quando ha visto staccarsi un pezzo di ghiaccio dal viso di Hillary». Il perdono del marito per i tradimenti ha mostrato al Paese che è in grado di comprendere, capire, accettare. La gente ha reagito santificandola, rendendola la vittima, l’incompresa, l’indifesa umiliata da una bugia prima che da una notte con la stagista Lewinsky. Umana anche allora, perché prima dell’orgoglio aveva scelto l’unità della famiglia.
C’è stato anche dopo, il cuore. È arrivato quando Bill è stato male e lei per la prima volta è andata in tv tra le lacrime: «Pensavo di non rivederlo più. È stata la paura più grande della mia vita». Un passo indietro: moglie prima che politica. Anche allora l’America s’è commossa. Poi ancora, quando s’era laureata Chelsea: un altro pianto. «Mia figlia è tutto». Di nuovo con la sua autobiografia, pubblicata nel momento in cui tutti l’avevano presa come bersaglio, come obiettivo di una campagna anti-establishment. Era appena diventata senatore: nel suo libro ha raccontato la sua insicurezza nei momenti difficili, il conforto delle amiche. Normale e banale: tre milioni di copie vendute e una nuova, immensa popolarità. Quando ha deciso di correre per la Casa Bianca sapeva che l’avrebbero attaccata per l’aridità. Per questo aveva un lato B della strategia. Candidata inevitabile, sì. La migliore, la più preparata, la più esperta. Però una donna che si stanca, che si spaventa, che s’angoscia. Una volta il suo stratega Mark Penn ha fatto un sondaggio tra i ragazzi dello staff: chi sa dove è cresciuta Hillary? Più della metà non lo sapeva.
Giuseppe De Bellis
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