Politica

Lacrime e autografi Il giorno da rockstar di mister Brunetta Tifo da stadio per il ministro mangiafannulloni: «La vera lotta di classe? È quella contro i parassiti»

Roma«I guasti vanno affrontati a brutto muso, a muso duro!». È stato anche il suo giorno. Il giorno di Renato, il giorno di Brunetta, del ministro mangiafannulloni. È stato il giorno della radicalità di governo, la radicalità estrema, che fa vanto di violare le regole del politicamente corretto e di usare toni accesi. Nessuno, forse tranne lui, si immaginava che il ministro avrebbe avuto un tripudio di queste dimensioni: quattro minuti di applausi, e standing ovation, prima ancora di parlare. Lui si commuove, piange le prime vere lacrime del congresso, ma cambia subito marcia quando sta al microfono e dice: «Finalmente un podio che è all’altezza giusta».
Quando finisce di parlare, il ministro attraversa gli stand inseguito da una folla da rockstar: chi gli chiede l’autografo, chi lo tira per la giacca, chi gli dice «tieni duro», chi lo vuole solo toccare. Lui dal palco aveva dato la linea, si era esercitato nel gioco più difficile, quello di ritagliare le parole d’ordine: «È una rivoluzione liberale, la nostra, una rivoluzione liberale, moderata e borghese. E gli italiani ne saranno i beneficiari».
Più tardi, anche quando l’adrenalina è sfumata via, lui, che non è certo un cultore della falsa modestia dice: «È stata una grande emozione, ma da mesi capivo che c’era grande sintonia fra me e questo popolo». E poi, pestando ancora sull’acceleratore dei sentimenti senza briglia: «Ho toccato un rancore e un sentimento profondo, sono riuscito a trasformare in un simbolo la battaglia contro l’inefficienza della pubblica amministrazione e i disservizi. Gli applausi non sono a me, ma a questa mia battaglia». E anche sul palco, ovviamente, aveva attinto a piene mani alla lingua della radicalità. Come un bolscevico azzurro, aveva gridato: «La vera lotta di classe è questa, quella contro la borghesia parassita. Se riusciremo a vincerla, avremo vinto tutti».
Più tardi, quando abbandona il congresso, Brunetta rivela che non sono parole dal sen sfuggite, la «nuova lotta di classe» è il cuore di un libro che ha scritto in prossima uscita per la Mondadori: «Vede, lo abbiamo intitolato Rivoluzione in corso, così non ci sono dubbi». Quando poi gli chiedi di definire meglio il suo intervento, se lo interroghi su qualche virata populista, lui anziché attenuare rilancia: «Ma per chi sarei politicamente scorretto, per qualche radical chic? Per qualche mummia del centrosinistra? Sono andato all’Unità, nei giorni scorsi, un forum in cui mi hanno sottoposto una raffica di domande e di battute...». E che cosa ha pensato? «Mi facevano tenerezza perché vedo che ormai sono allo sbando, sono i reperti di una storia finita».
Brunetta sul palco, Brunetta rockstar, Brunetta ministro. In tutti questi ruoli lui si cala senza variazioni di accento. Non ci tiene a coltivare un’immagine istituzionale, ufficiale, burocratica: «Sì, ho esordito con una battuta sulla mia altezza. E allora? Mi divertiva, sono uno che ha il culto dell’autoironia». Gli chiedi se non teme che tutto questo possa diventare anche materia per la satira politica. E anche stavolta il ministro non ha titubanze: «Io amo molto la satira se rivoluzionaria. Se è fascista, conservatrice e razzista, mi fa schifo. E quindi non la guardo, non la leggo, non me ne curo». Si riferisce a Crozza? «Non ho mai visto Crozza».
E così, lui, il ministro più esposto, e provvisto del più ponderoso armamentario polemico, si gode la soddisfazione di essere diventato anche il più popolare, presso la base del Popolo della libertà. E qui, per la prima volta, ci tiene ad attenuare l’elemento personale: «No, non c’entra nulla la mia identità, la mia storia pregressa, il mio essere stato o meno un socialista in un’altra vita. È il governo che è in sintonia con la gente, se mi applaudono qui è perché sono un uomo di governo, un rappresentate di questo governo».
Allo stand del Pdl, sul lato destro del capannone, il bagno di folla si fa quasi asfissiante, tutti si stringono intorno a lui, Brunetta resta per un attimo quasi schiacciato dalle manifestazioni di idolatria che lo circondano. Un passo oltre le transenne e un sospiro di sollievo. «Certo, l’abbraccio di questa gente per me è il riconoscimento più importante, la cosa che più mi fa piacere. La testimonianza che stiamo lavorando bene». Dal palco, nel suo intervento, aveva fatto ricorso anche all’ironia: «Siamo un po’ sfigati, ammettiamolo. Ogni volta che andiamo al governo, c’è la crisi...». Un’onda di sorrisi in platea, e poi, di nuovo, con un ostinato, incrollabile ottimismo: «Questa crisi non è la crisi del capitalismo, non è la fine del mondo, è una sfida, un test della nostra capacità di governo. Se riusciremo a superarlo, riusciremo a fare qualunque cosa». E, infine, l’ultima stoccata, quella agli avversari del Pd: «Guardate, la crisi della sinistra, è una crisi di idee, una crisi morale, non la risolveranno cambiando un leader».
La mattinata si chiude così, con la stella di Brunetta che si accende, nell’atto di fondazione di una nuova lingua politica: i ministri che alzano la voce, che non si preoccupano di urlare, se serve, al microfono, con le mani che si spellano per le frasi rotonde e le parole d’ordine infuocate. Nel giorno dei ministri di lotta e di governo, lui, Brunetta, è stato, sicuramente, il più applaudito.

Brunetta style.

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