da Roma
Scuote la testa il vecchio Mario, l’ex presidente dell’ente Maremma, il padre. Pare che dica: Non è possibile, non a mia figlia. No! Per tutta la cerimonia ripete «no» con quel movimento. Scuote la testa infinite volte - no! - come un pianto, prima ancora che le lacrime gli fermino quell’ossessione.
Piange il capitano di vascello, Giovanni, il marito. E non ha vergogna della debolezza. Chi l’ha mai detto che i capitani non piangono. È entrato in chiesa con una rosa rossa e l’ha posata sulla bara di sua moglie. La guarda. Ogni tanto sembra che gli manchi il fiato. Ispira l’aria come se non fosse abbastanza, con uno scatto delle spalle.
Resiste Luca, il fratello, perché lui è il più giovane, non ha quei capelli bianchi. È soprattutto per loro che non può cedere al dolore, in chiesa. Non lì. Gli altri che farebbero?
Sono i tre uomini che la piangono, Giovanna, più di tutti al funerale. In prima fila, davanti all’altare, nei loro cappotti. Senza occhiali scuri. Soli, anche se vicini a tanta gente. E a volte quasi ciechi, o sordi, sembrano svegliarsi dai pensieri ad alcune parole delle omelie. Più deboli, ma non ne hanno vergogna, delle donne. Giovanna Reggiani ha lasciato, con gli altri, soprattutto loro. I suoi tre uomini.
Don Patrizio, il cappellano della Marina, fa un accenno all’assassino, Nicolae Mailat, il Caino, «anche lui morto». Scuotono la testa gli uomini di Giovanna. No, dicono ancora. «Dio!», sussurra il capitano Giovanni a chi lo abbraccia. Luca resiste.
Un fazzoletto non basta. C’è bisogno di due fazzoletti e le dita scivolano sulla stoffa al vecchio Mario, perché le ha bagnate di lacrime. C’è una psicologa della Marina che non toglie la mano dalla sua spalla. Ma dopo aver detto no tante volte, in piedi, seduto, con la testa chiusa nelle grandi mani, alla fine scoppia. Cerca di soffiarsi il naso con i suoi fazzoletti. E il capitano Giovanni piange con lui: «Non è giusto», mormora. Anche se ha ripetuto, a chi gli è stato vicino in questi giorni, che «dobbiamo distinguere le persone, un romeno da un romeno, un italiano da un italiano». Ma ora «perché», mormora, «perché». E Luca resiste.
Alla fine Luca sale sull’altare. Inizia a leggere. Tutti lo guardano e sembra che non piangano più. Racconta di Giovanna, di quando «giocavamo» da piccoli «a invertire le parole» e «bastava un gesto per capirci». Ma parla anche di chi rimane: «Manteniamo una vigile tolleranza. Ricordiamoci che il silenzio non è sempre muto. Noi fratelli abbiamo sempre avuto uno spirito libero. Il babbo e la mamma ci hanno insegnato l’importanza della tolleranza e dall’amore».
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