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L'addio al sultano gentile e al biglietto del mistero

Scomparso Qaboos bis Said, gli succede il cugino Senza consultare il foglio lasciato dal monarca

L'addio al sultano gentile e al biglietto del mistero

In quel biglietto non sapremo mai quale nome ci fosse scritto. Oppure qualcuno alla fine una sbirciata l'ha data e chissà se lo confesserà mai. Di quel biglietto parleremo alla fine, sappiate intanto che il sultanato dell'Oman ha vissuto nelle ultime ore il trapasso istituzionale probabilmente più veloce della storia. La notizia della morte del sultano Qaboos bis Said, il «padre dell'Oman», si era sparsa da poche ore e già i suoi consiglieri si erano accordati sul nome del suo successore, Haitham bin Tariq, 65 anni che ha giurato già ieri e a tempo di record si è issato sul trono di Muscat. Il nuovo sultano, cugino del suo predecessore, era fino a ieri ministro della Cultura e del Patrimonio. Ha già garantito che non cambierà rotta rispetto alla politica di Qaboos, che ha ritagliato all'Oman il ruolo di un Paese pacifico, una sorta di mediatore regionale nell'incendiario scenario arabo e mediorientale in genere.

Qaboos è morto all'alba di quel 2020 in cui l'Oman era pronto a celebrare due importanti ricorrenze: il cinquantesimo anniversario della sua ascesa al trono (che avvenne il 23 luglio del 1970) e il suo ottantesimo compleanno (era nato a Salalah il 18 novembre 1940). Qaboos era adorato da tutti gli omaniti e non troverete mai qualcuno disposto a parlarne male. Il suo segreto fondamentalmente è stato avere avuto come predecessore il padre, Said bin Taymur, che aveva governato l'Oman per trentotto anni all'insegna di un isolazionismo vagamente paranoico: tenne il suo Paese lontano da ogni vento di innovazione, temette ogni cambiamento, detestava perfino il football e la musica, proibì l'elettricità, gli ombrelli, la radio, gli occhiali. Insomma, un monarca semifeudale contro il quale agirono numerose sommosse, prima che lo stesso figlio, con un gesto da tragedia greca, si ponesse alla testa di quella che finì per deporlo con una rivoluzione di ovatta nel 1970.

Bastava quindi davvero poco a Qaboos per far la figura del sultano illuminato, e quel poco Qaboos fece: sfruttando i soldi garantiti dal petrolio per uno sviluppo prudente dell'Oman. Costruì autostrade e aeroporti, centri commerciali e alberghi, consentì l'apertura di università e giornali (senza una vera libertà di stampa ma non si può avere tutto), inserì il Paese e le sue molte attrazioni (la piacevole Muscat con il suo suq, i suoi brutti palazzi del potere, i suoi grandi alberghi, l'unico teatro dell'Opera arabo, una moschea che sembra nuova di pacca; e poi il deserto, il Dhofar e lo spettacolo delle sue piogge, l'antica capitale Nizwa, la tropicale Salalah) nel circuito turistico internazionale su cui sembra voler puntare con ancora maggiore decisione. A un certo punto Qaboos, del tutto libero dai vincoli che nelle democrazie consolidate sono garantiti dai meccanismi di contrappeso politico, giocò anche a fare il democratico aprendo a elezioni per un Parlamento francamente piuttosto innocuo, garantendo perfino il voto alle donne. Anche se poi conservò per sé per tutto il tempo quasi tutto il mazzo delle chiavi del potere omanita: il sultano infatti è monarca, premier, capo delle forze armate, ministro della Difesa, delle Finanze e degli Esteri. Un asso pigliatutto però bonario, che conobbe un solo momento di impopolarità quando nel 2011 le primavere arabe scaldarono i cuori anche qui spingendo il regime a una dose di manganello contro la piazza. Ma pur sempre un paradiso o quasi, rispetto ai vicini. L'Oman, grande come l'Italia (300mila kmq più qualcosa) ma popolato quindici volte meno, accanto ha l'enorme Arabia Saudita, uno dei Paesi-tenebra del mondo, dove il turismo in pratica non c'è e dove gli stranieri sono visti con ferrigno sospetto. Sotto ha lo Yemen mangiato vivo da un'emergenza umanitaria spaventosa. A Nord-Ovest ha i ricchissimi e un po' cafoni Paesi del Golfo, gli Emirati Arabi, il Qatar, il Barhein, dove si immagina un futuro di lusso distopico.

L'Oman invece è l'Arabia potabile, quella dove alla fine se vuoi un bicchiere di vino lo trovi senza che nessuno ti guardi male, dove l'occidentale è visto come una risorsa da spennare e non come un nemico da combattere. Merito - oltre che di mezzo secolo di politica quasi pacioccona targata Qaboos - della corrente di islam detta ibadismo, che prende il nome dal tale Abd Allah ibn Iba al-Tamimi, che intorno al 685 dopo Cristo si inventò un mezzo scisma che ne fece il leader della terza via tra Sciiti e Sunniti. La loro caratteristica è un approccio più rilassato nei confronti del Corano, che si riverbera in una visione della vita piuttosto pacifico.

Naturalmente non tutto è perfetto. L'Oman ha una bilancia dei pagamenti assai sbilanciata e un'economia troppo dipendente dal petrolio e il turismo appare come un'alternativa che però ha bisogno di anni (e di investimenti) per svilupparsi. Ma l'Oman è comunque l'Arabia quasi felix e ha pure un ruolo non trascurabile nello scacchiere regionale, è una Svizzera arabica specializzata negli arbitraggi più o meno imparziali. Molti ricordano il ruolo che l'Oman ebbe nel favorire il dialogo tra Usa e Iran che condusse all'accordo sul nucleare, traballante, ma pur sempre meglio di niente.

Ok, ma il biglietto? È quello su cui il «padre» dell'Oman, sentendosi vicino alla fine a causa del tumore al colon che lo divorava, e non avendo figli, aveva appuntato il nome del suo successore. Il biglietto sarebbe stato aperto solo nel caso in cui entro settantadue ore dalla sua morte i suoi consiglieri e i suoi familiari più stretti non avessero trovato un accordo sull'identità del nuovo sultano. Tutti pensavano che l'accordo non si sarebbe trovato, e invece il cugino Haitham ha messo d'accordo tutti rendendo quel foglietto carta straccia.

Speriamo non lo diventi anche l'anomalia arabica dell'omanismo.

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