Il ladro seriale al pm: «In me c'è qualcosa che non va»

Luca Fazzo

Un breve incontro, nel disadorno teatro della sala interrogatori di San Vittore: ma bastano quei pochi minuti perché Ivano Moccia, 39 anni, tanto carcere alle spalle e tanto carcere che lo attende, metta a verbale la dichiarazione che riassume tutta una vita. «In me c'è qualcosa che non va».

Di Moccia i giornali si sono occupati ampiamente, nelle cronache estive: il 23 luglio, invece di rientrare in carcere a Opera dopo uno dei permessi di cui godeva da tempo, si era dato alla latitanza, e aveva subito rapinato due banche, scavalcando il bancone e brandendo un taglierino. Lo hanno riacciuffato domenica scorsa in viale Molise i carabinieri, eseguendo un nuovo ordine di cattura.

A interrogare Moccia si presenta il giudice Chiara Valori, accanto c'è il pm Marcello Musso che ha diretto la caccia al fuggiasco. «Non ho mai lavorato», si presenta Moccia. Ammette le due rapine, ne rivela una terza. E spiega così la sua scelta di evadere: «Questa decisione si collega al fatto che erano diciassette mesi che non mi veniva concesso di vedere la mia famiglia.

Quel giorno sono andato a trovarli, poi ho assunto coca e ho perso il controllo». Racconta delle rapine, e poi: «Se si pensa che sono in carcere dal 2003 e che ho sempre tenuto una condotta regolare, evidentemente in me c'è qualcosa che non va». Evidentemente.

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