Cronache

Lady Emergency samaritana a parole ma gli immigrati li scarica a noi

Lady Emergency guida cortei e firma appelli. Però ai profughi deve pensare lo Stato: a casa sua non li vuole

Lady Emergency samaritana a parole ma gli immigrati li scarica a noi

Guida cortei, firma appelli, soccorre malati, raccoglie fondi, contesta governi. Nel nome del padre, Strada Cecilia di Gino capeggia Emergency con piglio managerial-movimentista. Laurea in sociologia (con tesi sulle donne afgane), una presenza massiccia su giornali, tv e internet, un bel po' di girotondi e di snobismo radical-chic, un deciso rimpianto della sinistra che fu (ma che potrebbe tornare con Maurizio Landini), un ardore pacifista dettato da un senso di ribellione contro le guerre prima che dal bisogno di curare le vittime.

Ma un atto di accoglienza personale, diretto, lontano da fotografi e telecamere, quello no. Cecilia Strada l'ha detto con la chiarezza che non le manca. Ospitare un profugo in casa? Domandina semplice sul suo profilo Facebook nel pieno della polemica sulla massa di migranti che l'Italia e l'Europa non sanno come trattare. Interrogativo legittimo mentre Emergency tratta con disprezzo lo smarrimento degli italiani: «Ogni sera – ha detto la presidente - c'è un razzista in televisione a raccontare balle cercando di convincere i cittadini che se loro stanno male è colpa di chi sta peggio».

Vale la pena leggere per intero la «risposta collettiva per tutti quelli che “perché non ospiti i profughi a casa tua, eh?”». Eccola: «E perché dovrei? Vivo in una società e pago le tasse. Pago le tasse così non devo allestire una sala operatoria in cucina quando mia madre sta male. Pago le tasse e non devo costruire una scuola in ripostiglio per dare un'istruzione ai miei figli. Pago le tasse e non mi compro un'autobotte per spegnere gli incendi. E pago le tasse per aiutare chi ha bisogno. Ospitare un profugo in casa è gentilezza, carità. Creare - con le mie tasse - un sistema di accoglienza dignitoso è giustizia. Mi piace la gentilezza, ma preferisco la giustizia».

È il vecchio statalismo marxista che resiste. L'ideale di un'entità che tutto possiede e a tutto provvede, in cui il cittadino è suddito pagatore e consegna ogni responsabilità al soggetto pubblico. Una società classista, fatta di giusti, di sfigati e di razzisti, dove i primi redimono i secondi in nome della propria superiorità, e il resto è feccia. Emergency apre ospedali nei teatri di guerra, manda medici, infermieri, materiale sanitario; restituisce alla vita migliaia di feriti. Ma Cecilia Strada non vorrebbe chinarsi sulle vittime perché nel suo mondo ideale non dovrebbero esserci vittime. Come scrisse T.S. Eliot nei Cori da «La Rocca» , lei sogna «sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono».

Nelle ultime settimane lo ha ripetuto più volte ai giornali. «Pago le tasse anche perché mi aspetto che lo Stato arrivi dove, come cittadina, non posso arrivare». «Non sono altruista, non siamo buonisti e nemmeno buoni, siamo giusti». «Da rappresentante del terzo settore, trovo molto negativo affidarsi solo al terzo settore. Mi lascia molto in imbarazzo e molto a disagio lavorare in Italia con poliambulatori che curano stranieri e italiani. Non lo trovo giusto. Noi siamo nati per lavorare in Afghanistan, in Irak, nel Centro Africa, dove la gente è stremata da guerre e malattie: l'Italia non è un Paese povero».

Non è un'intervista «rubata»: è apparsa a fine maggio sul settimanale Left – A sinistra senza inganni al quale aveva anche detto che «Renzi ripercorre il machismo berlusconiano» con una «muscolarità linguistica irritante e preoccupante». Il pensiero di Cecilia Strada è chiaro. Emergency sta aprendo anche in Italia centri di assistenza gratuita per persone in difficoltà. Quattro poliambulatori (Palermo, Marghera, Polistena, Castel Volturno), cinque ambulatori mobili, uno sportello di orientamento. A chi l'accusa di «non fare niente in Italia», l'associazione risponde elencando questi centri ai quali si rivolgono sempre più italiani. Ma la presidente di Emergency è «molto in imbarazzo» a curare anche loro. Gli stranieri sì (ma in ambulatorio, non a casa), gli italiani no: ci pensi lo Stato-mamma.

C'è sempre qualcuno più degno di altri di ricevere l'attenzione di Cecilia Strada. Fu sprezzante con la crocerossina che a una sfilata del 2 giugno suscitò gli apprezzamenti di Silvio Berlusconi. Benché Emergency e Croce Rossa facciano lo stesso mestiere, affidò ancora a Facebook un commento maligno: «Ho provato a immaginare le meravigliose infermiere di Emergency che marciano alla parata militare, niente da fare, non ho abbastanza fantasia». Per non parlare delle «olgettine» schernite al corteo milanese «Se non ora quando»: «È brutto un mondo che costringe le ragazze afgane a mettersi il burqa in nome della tradizione, ma è altrettanto brutto un mondo che spinge le ragazze italiane a togliersi le mutande, in nome del denaro e del potere».

Quando invece si tratta di guerra al terrorismo si va meno per il sottile. Dopo il conflitto in Afghanistan, suo padre disse che «Bush è come Bin Laden». Lei lo difese così: «Sono affermazioni che magari in bocca ad analisti internazionali anche non di sinistra non desterebbero alcuno scandalo perché te le aspetti. Ma in bocca a Gino, fuori dal contesto, sintetizzate, sembrano tremende. Indagare su che cosa definiamo guerra e che cosa terrorismo non è una follia, lasciamo dipendere tutto solo dallo status giuridico di chi butta la bomba? Le persone ferite, sul tavolo operatorio, sono tutte uguali». E così pure Bush e Bin Laden.

Emergency non si limita a soccorrere chi è privo di assistenza medica. Deve dirlo, urlarlo. «A noi non piace stare zitti perché la guerra ci fa orrore», disse a Fausto Biloslavo in un'intervista al Giornale nei giorni in cui, nel 2010, tre operatori dell'organizzazione erano tenuti prigionieri in Afghanistan perché nell'ospedale di Emergency erano state trovate armi. Per ottenerne la liberazione vi furono cortei, appelli, raccolte di firme: attività cui Cecilia Strada si sottrae malvolentieri. Era al G8 di Genova, è scesa in strada con la Fiom, contro l'intervento in Libia, con i No-Tav, a fianco di Maurizio Landini.

L'aperto sostegno a Coesione sociale ha segnato una svolta nel rapporto tra gli Strada e la politica. In Emergency è sempre prevalsa una certa distanza culminata nel veto al premier Renzi in braghettoni che voleva giocare la partita del cuore in diretta Rai una settimana prima delle elezioni europee. Gino è stato tirato in ballo anche per il Quirinale, ma lui ha ripreso sempre l'aereo per i suoi ospedali. Cecilia è meno drastica, dice che ama troppo il suo lavoro per barattarlo con un posto in Parlamento. Intanto però ha partecipato ai VeDrò di Enrico Letta, ha criticato Matteo Renzi (non parliamo di Berlusconi), ha sfilato con Landini ed è anche entrata nel toto-ministri dell'esecutivo attuale, ma non se ne fece nulla. Troppo legata a Sel.

Il 24 febbraio 2013 suo marito Maso Notarianni, giornalista cresciuto nei media di Emergency, si era candidato alla Regione con la lista arancione «Etico per Ambrosoli» senza fortuna (778 preferenze personali, 0,96 per cento complessivo). Cecilia e Gino Strada avevano firmato il manifesto di Ingroia «Io ci sto» salvo pentirsene: Gino lo liquidò come «centro raccolta differenziata per trombati». Ora sorge l'astro di Maurizio Landini e si fa il nome di Cecilia per il dopo-Pisapia a Milano.

Chissà se questa emergenza prevarrà sull'altra.

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