Tre minuti e mezzo di terrore puro. Tre minuti e mezzo in caduta libera, a duecento chilometri orari, con l'aeroplano che si avvita su se stesso, e si ribalta, e sbanda paurosamente da destra a sinistra, mentre i vani portabagagli si spalancano e gli oggetti più disparati volano come proiettili nella carlinga. E colpiscono, ferendoli, uomini e donne. E chi non muore di spavento, o non dà di stomaco sopraffatto dall'orrore di quanto sa che sta accadendo, morirà fra un minuto o due, tra urla pianti e grida; e la morte sarà come un flash, una girandola di luci multicolori preceduta da uno schianto spaventoso. E poi più nulla. Solo il nero e il gelo delle profondità marine, in mezzo all'Atlantico, per chi avrà ancora vita sufficiente per avvertirli, quel nero e quel gelo.
Sembrano gli attimi più drammatici di una fiction cinematografica pensata a Hollywood, vero? Invece, grosso modo (nel senso che ciascuno è libero di pensarli come vuole, quegli spaventosi minuti che noi abbiamo raccontato a modo nostro); invece, si diceva, è quel che è accaduto il primo giugno del 2009, quando il volo 447 dell'Air France in volo da Rio de Janeiro a Parigi si inabissò diventando la tomba delle 228 persone che erano a bordo.
Fu un errore umano, sì. Oggi lo si può desumere con ragionevole certezza, dopo che l'Ufficio di indagine e di inchiesta per gli incidenti aerei (Bea) ha reso pubblici i primi dati emersi dall'analisi delle scatole nere del velivolo. Errore umano, in questo caso, forse non vuol dire per ciò stesso errore dei piloti. Il problema di fondo, scrive il quotidiano francese Liberation , fu che «l'equipaggio non era preparato ad affrontare» i guasti legati al malfunzionamento dei due sensori di velocità. Ma se «non erano preparati», qualcuno alla fine dovrà pur addossarsi il carico di questa impreparazione. «Mancanza di informazione e di addestramento », scrive Liberation , ricordando che Airbus e Air France sono indagati per omicidio colposo.
«C'era un'incongruenza tra la velocità indicata dai monitor del lato sinistro e quella dell'Isis, Integrated standby instrument system», si legge tra le considerazioni fatte dalla Bea. Sicché l'equipaggio non fu in grado di determinare con esattezza a quale velocità stesse viaggiando il jet.
C'era un tempo orrendo,all'esterno; tanto che uno dei due piloti avvertì, all'interfono, che l'aereo stava entrando in una zona di «forti turbolenze». C'era ghiaccio,in quella turbolenza, e il ghiaccio verosimilmente «ubriacò» gli anemometri, i rilevatori di velocità, mettendo all'improvviso i piloti nella condizione di giocare d'azzardo.Una sovrastima della velocità induce infatti a togliere potenza, col che si rischia lo stallo; in caso contrario, se si assume cioè che il velivolo ha poca velocità si può essere indotti ad aumentare la spinta, rischiando un cedimento della struttura. Quale delle due cause determinò la tragedia? La prima, par di capire. Sta di fatto che tre minuti esatti prima di inabissarsi tra le onde, uno dei piloti esclamò: «Nessuna delle indicazioni che abbiamo è valida». A quel punto, dicono i dati registrati nella scatola nera, l'Airbus salì a un'altezza di 38 mila piedi (il disperato tentativo di uscire dalla turbolenza, vien da pensare) per poi entrare in stallo e precipitare alla velocità di duecento chilometri all'ora giù nel pozzo nero dell'oceano.
Un minuto prima di schiantarsi sul liquido cemento delle onde, il pilota più giovane passò i comandi a quello più anziano. Mentre il comandante, che aveva lasciato la cabina per il riposo di routine, chiamato più volte, entrò in cabina, senza mai impugnare la cloche, forse un minuto prima della fine.
Ma pare evidente che a quel punto non c'era più niente da fare per«riprendere» l'aereo dalla fase di stallo in cui era piombato. Il resto, tre minuti e mezzo dopo l'inizio di tutto, fu solo silenzio. Il primo cadavere è stato ripescato solo il 5 maggio. Gli altri, pace all'anima loro, sono ancora in fondo al mare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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