Lahore: fra fast food e sufismo incombe l'ombra dei talebani

Ai tempi d'oro dell'Hippie trail, la guida all'overland “Andare in Oriente” metteva in guardia dai ferrei controlli antidroga alla frontiera, ma sopratutto consigliava di non scappare troppo velocemente dal Pakistan per raggiungere l'India, visto che la nazione musulmana del Subcontinente meritava in pieno di essere visitata

Lahore: fra fast food e sufismo incombe l'ombra dei talebani

nostro inviato a Lahore (Pakistan)

Forse è la città più indiana del Pakistan, Lahore. E, dalla nascita del “paese dei puri”, 62 anni fa, il capoluogo del Punjab pakistano è per tutti la porta dell'India, visto che poco lontano da qui, a Wagah, c'è l'unico confine aperto tra i due Paesi. Ai tempi d'oro dell'Hippie trail, la guida all'overland “Andare in Oriente” metteva in guardia dai ferrei controlli antidroga alla frontiera, ma sopratutto consigliava di non scappare troppo velocemente dal Pakistan per raggiungere l'India, visto che la nazione musulmana del Subcontinente meritava in pieno di essere visitata. E Lahore conferma che quel giudizio, seppure datato, è ancora corretto. Ha la grandeur di una capitale coloniale, Lahore, e del suo passato britannico porta ancora molti riferimenti, artistici, architettonici e anche letterari: davanti al bellissimo museo, per esempio, c'è ancora lo Zam-Zammah, il grande cannone settecentesco di cui parla Kipling nell'incipit di Kim. Una passeggiata per il Forte, lo Shahi Qila, tra famiglie che si godono l'ombra dei grandi alberi e rari turisti che passeggiano sulla grande scalinata, progettata perché i cortei reali potessero entrare nel palazzo a dorso d'elefante, offre anche uno spaccato della storia precoloniale di Lahore.

Che non vive rispecchiandosi nel suo passato, ma guarda avanti con motivate ansie per la situazione attuale del Paese. Mentre il Pakistan teme la talebanizzazione, e da Peshawar allo Swat si combatte per recuperare grandi aree di territorio al controllo del governo, che pure con i fondamentalisti era incautamente sceso a patti solo pochi mesi fa, Lahore mette in vetrina il suo modello di Islam moderato, quello dei mistici Sufi e del Qawwali, la musica devozionale che ha il suo centro proprio qui, nel Punjab pakistano. Ma il sufismo non basta a tenere lontana la minaccia del terrorismo dalla metropoli. A marzo scorso un commando armato attaccò la nazionale di cricket dello Sri Lanka, uccidendo sei poliziotti e due passanti, e ferendo alcuni degli atleti. Un attentato clamoroso, nella città che è la capitale pakistana del cricket, sport nazionale.

E pochi giorni fa, il 27 maggio, un'autobomba ha raso al suolo una centrale della polizia, in pieno centro, uccidendo 40 persone e ferendone centinaia. Una delle più tristi conseguenze di questi gravi episodi è la crescente percezione – sensata, visti i precedenti – di pericolo nei residenti, che finisce per tradursi in una mutilazione dello spirito liberale che anima Lahore. Città musulmana che non solo ospita uno storico quartiere a luci rosse, ma dove è difficile trovare una ragazza velata, e dove nelle moschee non è raro vedere donne a capo scoperto. Ora però il vento cambia, e molte scuole e college scelgono di imporre dress code più rigidi, proibendo alle allieve – ma non agli studenti maschi – di portare i jeans, o imponendo divise o abbigliamento tradizionale. Ufficialmente è solo una precauzione, un modo per non attirare l'attenzione di talebani e integralisti, che già in passato hanno minacciato di attentati istituzioni scolastiche ritenute troppo lassiste. Ma sui quotidiani locali ci si interroga sul senso di simili misure cautelative, che, in un certo senso, finiscono per “darla vinta” a chi vorrebbe riportare il Pakistan al medioevo.

E i “lahoriani” non hanno nessuna voglia di tornare indietro. Affollano i fast food e i negozi affacciati sul Mall, nel centro coloniale della città, e la sera si incontrano negli eleganti ristoranti di Gulberg, il lussuoso quartiere residenziale a Sud. La paura però lascia il segno. Davanti al Kentucky fried chicken c'è un'insegna che invita a non entrare armati, e i gestori dei fast food sono così timorosi di essere un potenziale obiettivo che tentano di “deamericanizzarsi”: e così ecco il proprietario di un Subway (franchising di panini a stelle e strisce) che scrive sulla propria vetrina “Pakistani owner”. Non basta.

In alcuni grandi magazzini non è ammesso l'ingresso di borse, e le guardie armate all'ingresso non si fanno problemi a mettere alla porta anche un turista con innocuo zaino per macchina fotografica in spalla. Sicurezza innanzitutto o paranoia dietro l'angolo? Qualcuno, come Malik, ex giornalista e ora gestore di una popolare guest house nella centralissima Regal Chowk, allarga le spalle e spiega: “Gli attentati possono essere ovunque, rinnegare il nostro stile di vita e modificare abitudini e costumi è sbagliato e insensato, visto che Lahore ha una radicata tradizione di tolleranza e una vivace scena culturale”.

Eppure davanti all'esclusivo Kinnaird College, le ragazze percorrono i pochi metri tra i cancelli di uscita e le auto dei genitori sotto gli occhi vigili di guardie armate. E la minaccia dei talebani rischia di far scendere il buio anche sull'assolata Lahore.

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