L'artista Percival Everett in fuga da se stesso. Come tutti noi...

Lo scrittore oggi e domani alla Milanesiana. Con una mostra in anteprima italiana dei suoi quadri

L'artista Percival Everett in fuga da se stesso. Come tutti noi...
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Sono anni che proviamo a costruire questa mostra dei dipinti di Percival Everett. E ci siamo riusciti in questa edizione de La Milanesiana grazie all'attiva ospitalità di Carlo Cinque e della sua galleria. E grazie alla collaborazione della Margot Gallery di Los Angeles. È una sfida tipica della Milanesiana, quella di valorizzare un aspetto nascosto della vita di un artista. Lo abbiamo fatto spesso, a partire propria dalla letteratura: mi tornano in mente la mostra dei dipinti di Tahar Ben Jelloun, o quelli del Premio Nobel per la Letteratura Gao Xingjang. O, per il cinema, i grandi teleri del regista Jerzy Skolimowsky. E ora, Percival Everett. Non solo la periferia creativa di un artista, ma un'identità parallela, una traiettoria divergente.

Everett è certamente uno degli scrittori più rilevanti del panorama letterario mondiale. Da anni, con un'umiltà silenziosa e una tensione letteraria rigorosissima, pubblica romanzi fuori dalle regole. Disegna un percorso per nulla lineare, per nulla prevedibile, sempre sorprendente e comunque rischioso. E lo fa sfruttando i generi letterari (poesia, narrativa, saggistica). E la pittura. Lo sforzo dovrebbe essere, e ai posteri toccherà farsene carico, tentare di fare una sintesi di questi diversi aspetti del mondo artistico di Percival Everett. Una sintesi poteva accadere ma un fatto l'ha rinviata.

Questa mostra, Logica predicativa, doveva accadere in concomitanza con un romanzo scritto da Everett alcuni anni fa, che si intitola Dr. No. La notizia del Premio Pulitzer conferito a Everett per il romanzo James, ci ha indotto a posticipare l'uscita di Dr. no e concentrarci su James, appunto. Racconto questo perché Dr. No è un divertente, folle e appassionante romanzo sul tema della negazione, che sta al centro della logica predicativa, in cui James Bond e Kurt Goedel (citati entrambi) si stringono la mano. Ma sarebbe stata solo una suggestione il rapporto tra Dr. No e questa mostra. Al momento c'è la mostra e, vedendola, incuriositi, gli spettatori potrebbero attendere di leggere il romanzo.

Intanto vediamo questi dipinti che Everett stesso ha voluto raccogliere sotto il titolo di Logica predicativa. La logica predicativa, lo dice il termine stesso, è la logica che formalizza le relazioni tra soggetto e predicato, e la negazione di esse. È forse un paradosso ricercare formalizzazioni logiche in quadri astratti, dove la linea non si compone in disegno, dove il colore è potenza emotiva ma non genera, di per sé, forme. Non produce significati evidenti.

Ma il paradosso è felice. C'è una mobilità assoluta nei dipinti di Everett, nulla sta fermo. I corpi, i segni, i materiali entrano in una relazione vorticosa, in collisione tra loro, anzitutto. E poi si sfaldano e compongono agli occhi dello spettatore, che a sua volta tenta di orientarsi. Ogni dipinto genera un occhio del ciclone, in cui lo spettatore sta, come in uno stato di calma apparente mentre tutto ruota. Prova a ricercare un significato e il significato si smaterializza.

Se la lingua letteraria di Everett è così esatta, la lingua pittorica è mobile, sfrangiata. La forma lotta con l'informe. La terra con l'oceano che incombe. Siamo e non siamo al sicuro. Siamo sempre esposti al pericolo di non trovare un senso, e alla necessità di cercarlo. In Everett pittore sento una costante incombenza degli elementi. Una incombenza che inquieta, ma che attrae, che impone di stare a guardare per seguire i movimenti delle linee e dei colori.

Contemplando, l'osservatore si scopre parte di quel vortice. Anzi scopre di essere quel vortice. Forse questo è il senso profondo della logica relazionale o predicativa: io sono un altro. Io sono e non sono io. Io sono sempre in fuga da me.

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