Lo scandalo è solo negli occhi di chi guarda. Pupi Avati racconta un suo grande amico, frammenti, ricordi, senza retorica, con una certa ironia, come si fa quando a quella persona ti lega un affetto che non si può misurare. Racconti senza pensare alla malafede di chi ascolta, perché per lui Lucio è carne e vita. È confidenza. Non si è mai arreso alla sua morte e se gli chiedono di tratteggiarlo non lo dipinge come un santino. È così che si fa con gli amici. Non stai a pensare che qualcuno si sdegna o si offende. E invece accade, in questi tempi dove le parole hanno un solo registro e non si percepiscono le sfumature e basta poco per beccarti un'accusa di omofobia. Avati irritante. Avati volgare. Avati sgrammaticato. Avati che si macera nella sua invidia. Avati da mettere all'indice. Avati che sputa sulla memoria di Lucio Dalla. Avati che non era poi così tanto amico. Tutto per una frase, in un'intervista a La Stampa. «Lucio non cresceva. La mamma gli fece fare una cura a base di ormoni che in qualche modo lo ha compromesso. Non solo non è cresciuto, ma a un certo punto è diventato ispido, peloso. Non so se questo mutamento abbia avuto riflessi in ambito sessuale». Pupi non sa e neppure gli interessa. Ma davvero bisogna stare attenti a parlare di un amico? «Non capisco cosa dovrei chiarire. Ho narrato un episodio della vita di Lucio. Non c'è nulla di scabroso. Non ci sono filosofie da fare sulla sua omosessualità. Ho condiviso con lui i momenti più belli della mia vita, quelli della musica. C'è gente che parla di Lucio e non lo ha mai neppure visto in faccia». C'è chi dice che amici non lo erano più, che è roba di gioventù, passata, dimenticata. «Davvero? Mi viene da ridere. Ci eravamo così tanto persi che Lucio, gli ultimi anni di vita, ha scritto due colonne sonore per i miei film». Non sono film qualsiasi. Gli amici del bar Margherita è la Bologna che hanno vissuto insieme. È sogni, jazz, clarinetto, donne, biliardo, Sanremo, cazzate da fare solo per il gusto di raccontarle. È la loro bohème. È l'Italia del 1954 dove ancora ogni futuro sembra possibile. L'altro è Il cuore grande delle ragazze. È l'omaggio alle radici, alla forza delle donne, alle madri.
È l'Italia degli anni '30 e di chi, sotto il regime, viaggiava controcorrente. No, Pupi Avati non deve giustificarsi per le sue parole. «Ho voluto molto bene a Lucio e lui ne ha voluto a me. Non permetto a nessuno di mettere becco nella nostra amicizia».
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