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L'assalto all'oro bianco che fa paura alla Bolivia

I ricchi giacimenti di litio fanno gola a tutti ma il Paese è a un bivio: sfruttarli o farsi sfruttare?

L'assalto all'oro bianco che fa paura alla Bolivia

La Bolivia, uno dei Paesi più poveri dell'America Latina, è letteralmente seduta su una fortuna smisurata. Un terreno ricchissimo di giacimenti abissali di oro, argento, nichel, rame, cadmio, uranio e, soprattutto, litio, il nuovo «oro bianco». E l'industria automobilistica elettrica lo desidera, in modo famelico, e si sta facendo avanti. È un tesoro, però, che potrebbe anche essere la condanna del Paese latinoamericano, come il petrolio è stato per il Venezuela. Il minerale ricercatissimo, di cui la Bolivia detiene il primo giacimento al mondo, è alla base delle batterie verdi: prima era utilizzato per i cellulari, ora per alimentare le auto ecologiche. Un business da miliardi di dollari che attira di tutto, dalle mafie, ai narcos, ai cinesi, alla Cia e agli speculatori di Wall Street.

Del resto la Bolivia, ancora prima di essere Bolivia, è sempre stata saccheggiata. Iniziarono i conquistadores spagnoli di re Carlo I, quando nel regno c'erano soltanto Castiglia, Leon e Aragona. Le navi di Francisco Pizarro, il condottiero affamato di oro indigeno, salparono per Panama dalle colonie caraibiche, fondate da Cristoforo Colombo, quasi cinquant'anni prima. Da Panama Pizarro proseguì a piedi con una spedizione di sessanta uomini, attraversando Colombia, Ecuador, Perù e una parte dell'Amazzonia. Nel 1530 giunse nell'attuale Bolivia e lì trovò talmente tanto argento da lastricare le strade di Madrid.

Oggi è il litio, l'oro bianco della Bolivia, più del petrolio e dei diamanti. Potrebbe, quasi, superare la produzione delle foglie di coca, primo prodotto nazionale, e convertire i campesinos, da secoli legati alla loro coltivazione e sostenuti dall'ex presidente Evo Morales. Il politico indigeno, cacciato per brogli elettorali nel golpe del 2019, è stato il primo difensore dei campi di coca, mentre dava a credere a Onu e Stati Uniti che li stesse convertendo in granoturco. Ora Morales, rientrato a La Paz, dopo un anno di esilio protetto in Argentina, vuole che l'Estado Plurinacional de Bolivia diventi l'Arabia Saudita del litio e, quindi, delle batterie per l'industria automotive, scalzando lo strapotere della bizzosa Cina. La recente scoperta che, proprio sotto Salar de Uyuni, il più grande deserto salato al mondo, ci sarebbe tra il 50 e il 70 per cento delle risorse mondiali di litio, ha scatenato la corsa alla Bolivia. Scavando pochi centimetri nel duro e millenario pavimento di sale, esteso per 10mila chilometri quadrati, emergono frammenti di un minerale lucente e simile all'argento: il litio. Un segno che il sottosuolo ne è pieno. Gettate via le vecchie, pesanti e tossiche pile al nichel-cadmio, ora l'economia green si è innamorata del litio. Il suo prezzo non ha mai smesso di aumentare: vent'anni fa una tonnellata valeva 350 dollari, oggi, dopo il boom degli smartphone e le prime auto elettriche, chiedono più di 10mila dollari. E il valore aumenta, mentre nel sottosuolo della Bolivia ce ne dovrebbero essere almeno 120 milioni di tonnellate.

Evo Morales nel 2008 ha costruito un impianto di 6 milioni di dollari per l'estrazione del carbonato di litio. Da allora ha estratto una cinquantina di tonnellate di materiale l'anno. Troppo poche a soddisfare il vorace appetito delle case automobilistiche che si forniscono, principalmente, dalla Cina che ha meno giacimenti, ma più impianti specifici, produce più velocemente e stabilisce sulle Borse mondali il prezzo del litio.

La Bolivia è una terra sfruttata senza ritegno dai colonialisti, tanto odiati da Morales. È stata depredata di uomini, risorse naturali e, soprattutto, metalli preziosi. Ora i nuovi barbari sono le multinazionali americane e australiane, leader dell'estrazione di litio, con le quali, come insegnava il caudillo rosso Hugo Chavez, non bisogna mai trattare, ma nazionalizzare senza pietà. Fortunatamente, però, Morales non è più al comando, anche se sembra essere l'eminenza grigia della politica boliviana. Nessuno, però, al Governo de La Paz vuole che tutta quell'immensa ricchezza vada sprecata per colpa di un'ideologia corrotta che fabbrica poveri, come avviene da decenni con il petrolio venezuelano, usato come moneta di scambio, in perdita, per comprare all'estero i beni primari, poiché manca un'industria di raffinazione adeguata, a prova di tangenti.

A voler mettere le mani sul litio c'è anche Elon Musk, presidente Tesla. Morales l'ha persino accusato, in un famoso tweet, di essere con gli americani dietro al golpe del 2019, soprannominato el golpe del litio che gli ha tolto la presidenza, aprendo a nuove elezioni. Morales, dopo l'esilio argentino a casa di Cristina Kirchner, (l'Argentina è il secondo Paese sudamericano con i maggiori giacimenti di litio), a fine novembre è rientrato a La Paz e ha incontrato il presidente Luis Arce, suo ex ministro dell'Economia per tredici anni. Arce, a fine 2020, ha presentato un piano di sfruttamento dell'oro bianco che prevede, per il 2030, 41 nuovi impianti d'estrazione nei dipartimenti di Potosi e Oruro.

Morales voleva costruirne solo otto con la società cinese Xinjiang Tbea Group-Baocheng, forse per ridurre il disastroso impatto ambientale a Salar de Uyuni, un paradiso naturalistico. Il futuro dei boliviani, che vogliono una fetta delle ricchezze del litio, è ora nelle mani di due uomini: Evo Morales e Luis Arce.

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