Latino e tecnologia: ecco il miracolo finlandese

Il Paese è all’avanguardia grazie agli investimenti altissimi nella ricerca, largamente davanti agli Usa

Alberto Pasolini Zanelli

da Helsinki

Qualcuno forse si sarà stupito, l’altro giorno, nell’udire o leggere che Tony Blair ha proposto, come modello per rinnovare e rinvigorire l’Europa, l’esempio della Finlandia. Ma fra i finlandesi non si è meravigliato quasi nessuno. Non perché siano degli spacconi (se mai è vero il contrario), ma perché sono consci di quello che hanno fatto e stanno facendo; e, per di più, il riconoscimento del primo ministro britannico non è l’unico e neppure il primo. Se gli uomini politici di Helsinki avessero in comune con i medici l’abitudine di tappezzare studio e sala d’aspetto di lauree e diplomi, ne sarebbero gremite le pareti delle due persone che governano la Finlandia, Tarja Halonen, presidente socialdemocratico, e Matti Vanhanen, primo ministro conservatore. Il penultimo attestato in ordine di tempo è quello del World economic forum, che per il terzo anno consecutivo ha calcolato ed annunciato che la Finlandia è «il Paese più competitivo del mondo» sui mercati internazionali, davanti agli Stati Uniti e a una manciata di nazioni europee, quasi tutte collocate in Scandinavia. La «pagella» si basa tra l’altro sulla gestione della macroeconomia e sulla «supremazia tecnologica». Altri due «pezzi di carta» invidiabili riguardano altrettante virtù finniche: questo Paese è definito il meno corrotto del mondo, quello dal sistema carcerario più progredito ed umano, e anche quello dal più alto livello culturale. Finché ci siamo, ricordiamo che quest’ultimo primato è fondato sia sul sistema scolastico («il migliore del mondo», naturalmente), sia su una specialità molto sofisticata: la massima conoscenza della lingua latina. Al punto che, quando toccò ai finlandesi il turno di presidenza semestrale dell’Unione Europea, essi riuscirono a imporre che gli atti ufficiali dell’Ue venissero redatti e pubblicati anche nella lingua di Cicerone, sotto il titolo «Conspectus rerum Latinus», poco dopo che un dotto filologo aveva pubblicato la versione latina delle canzoni di Elvis Presley.
Potrebbero anche sembrare bizzarrie se non fosse che riflettono una eccellenza generalizzata, che investe un altissimo livello della scienza medica e il primato nella tecnologia dei telefoni cellulari. La Finlandia sfiora anche il record mondiale degli investimenti nella ricerca, preceduta soltanto dalla Svezia e largamente davanti agli Stati Uniti.
E qui ci riavviciniamo al nucleo centrale del problema, e del «modello». A Helsinki c’è una organizzazione, la Tekes, ovvero Agenzia tecnologia nazionale, che finanzia le università e gli altri istituti di ricerca. Quest’anno ha elargito quasi 500 milioni di euro, 8.500 euro per ogni cittadino. Un investimento straordinariamente generoso, ma soprattutto fruttifero. Perché nulla come l’acquisizione di tecnologia d’avanguardia aiuta la crescita economica e la crescita, ha ricordato l’altro giorno Blair, è la migliore e forse l’unica soluzione al dilemma fra un’alta competitività mondiale e il mantenimento di elevati salari. Lo slogan «meno contadini e più scienziati», fatto proprio da Anthony Giddens, ideologo del blairismo, potrebbe essere stato inventato a Helsinki, o comunque prontamente adottato qui e in altri Paesi del «Paradiso Boreale» che ritorna di moda. Una mobilità verso l’alto senza «sacrifici» (anche la disoccupazione è stata dimezzata rispetto agli anni Novanta) all’insegna del rinnovamento continuo. Neanche la Gran Bretagna va così forte e l’Europa continentale paga la viscosità del suo attaccamento al «capitalismo renano» con quasi 100 milioni di senza lavoro o sotto occupati, mentre il modello anglosassone, promettente e razionale, è di improbabile accettazione nel milieu culturale europeo.
Il «miracolo» finnico è reso possibile, naturalmente, da condizioni irripetibili, di spazio e demografia: un Grande Paese con appena 5 milioni di abitanti e una popolazione finora assai omogenea. Ciò che permette fra l’altro l’eccellente funzionamento di un sistema scolastico che non viene travolto neppure dalla sua generosità: i finlandesi vanno a scuola per ultimi (a 7 anni), ci stanno un minor numero di ore e diventano ben presto i primi della classe. Un certo innato «egualitarismo» non ostacola, e anche questo è un’eccezione, la flessibilità e la rapidità nelle scelte, ricetta fondamentale in questi primi anni di globalizzazione, che si riflette semmai nella concordia fra i partiti, in particolare fra il conservatore e il socialdemocratico, che hanno voluto e imposto le riforme alle riluttanti forze di centro e a una presenza non indifferente dei post comunisti. Non solo nell’economia, la Finlandia è «decisionista». Nel senso che quando si mette in un’impresa ci si mette tutta. Ha adottato l’euro dalla fondazione, mentre Svezia e Danimarca ancora aspettano. Ha preso appena possibile iniziative per entrare nella Nato sormontando ostacoli anche istituzionali antecedenti addirittura alla Guerra Fredda e, quando è entrata nell’Ue, è riuscita a lasciare subito un’impronta (latino a parte).

Modello finlandese? È più facile da enunciare che da imitare. Ma forse è più necessario che possibile e l’Europa farebbe davvero bene ad abituarsi, intanto, a «leggere» se stessa alla fioca ma precisa luce boreale.
(1. Continua)

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