Il lato choc dei borghesi Ecco il film sugli Agnelli tra silenzi e tragedie

Il documentario "Il pezzo mancante" fa luce su lutti e figure che la famiglia ha nascosto

Il lato choc dei borghesi  
Ecco il film sugli Agnelli  
tra silenzi e tragedie

Roma - Il nostro, si sa, è un Paese che fatica a fare i conti con il passato. E nella storia italiana c’è una famiglia che ha svolto un ruolo di assoluto primo piano: la famiglia Agnelli. Nel bene come nel male. Ed è appunto per ricostruire «l’anello mancante», per ritrovarlo e raccontarlo, che Giovanni Piperno, una ventennale esperienza come regista e documentarista, ha svolto un lungo e paziente lavoro di ricerca per confezionare il docu-film che Cinecittà-Luce porterà nelle sale il prossimo 17 giugno.

Immagini di repertorio della stessa casa di produzione della Fiat, si alternano a interviste a testimoni di eccellenza della vita dell’Avvocato e degli altri membri della numerosa famiglia piemontese, considerata, a torto o a ragione, la vera stirpe reale dell’Italia novecentesca. Il pezzo mancante è centrato insomma sul tema della rimozione perché nella famiglia Agnelli, come in tutte le famiglie, esistono componenti considerati «diversi» o non omologabili e lutti troppo dolorosi da raccontare. Piperno ha avuto il suo bel daffare a trovare chi lo aiutasse a entrare in punta di piedi in questa saga familiare. Qualcuno disposto a fare da guida e narratore di questa storia. Quel qualcuno è Gelasio Gaetani Lovatelli, enologo, e amico d’infanzia di Edoardo Agnelli. È lui che trova i contatti e accompagna Piperno in questo viaggio.

La prima domanda cui dare risposta è: chi era davvero Gianni Agnelli? L’Avvocato, ricorda il giornalista americano Taki Theodoracopulos, era affascinato dalla riservatezza degli inglesi e per tutta la vita ha represso in pubblico i suoi sentimenti. Come per tutta la vita, ricorda sempre Theodoracopulos, Agnelli ha cercato di nascondere il suo lato borghese, cioè quell’attitudine a imporsi una rigorosa immagine di facciata.

Marella Caracciolo Chia, Giovanni Sanjust di Teulada, Klaus von Bulow, Ira von Furstenberg sono alcuni dei testimoni che hanno accettato di parlare. Un ruolo importante, però, lo svolgono le immagini. In fondo si tratta di un film. Che si apre, tra l’altro, con l’«incoronazione» di John Elkann alla presidenza della Fiat (21 aprile 2010). A differenza delle immagini ufficiali, Piperno sceglie un’inquadratura che restituisca una verità affatto diversa. Il film si apre proprio con i tre fratelli Elkann (John, Lapo e Ginevra) assediati dai fotografi. L’operatore è in grado di cogliere nello sguardo degli «eredi» non la consapevolezza di un ruolo, bensì la fragilità delle emozioni compresse. Per poter mantenere il controllo della Fiat per oltre un secolo la famiglia Agnelli ha, infatti, coltivato l’obbedienza e il rispetto della gerarchia famigliare. Questo è all’origine di una lunga teoria di traumi e sofferenze di cui si conserva traccia solo nella memoria dei protagonisti e in pochi segni tangibili. Come la facciata della chiesa del Sestrière dove tutti i figli di Edoardo Agnelli sono immortalati in eleganti bassorilievi. Un posto a parte spetta a Giorgio (morto nel 1965). Una delle ombre più pesanti di questa dinastia. Piperno scova la sua fidanzata di allora, Marta Vio, che ne parla con toni struggenti e filtrati da un ferita antica che sanguina ancora. Anche gli spezzoni delle interviste di Gianni Minoli hanno il potere, inserite in un contesto narrativo insolito, di tradire il sottotesto delle parole dell’Avvocato. «Cosa bisogna insegnare ai figli? Ad avere fiducia in se stessi e ad eccellere in qualsiasi cosa si scelga di fare». Cinico o sincero? Forse entrambi.

Tra i tanti documenti, Gaetani Lovatelli tira fuori anche una missiva che riporta alla luce un curioso episodio della vita dell’Avvocato, quando a Portofino s’imbattè in un eccentrico personaggio che passeggiava tenendo al guinzaglio un pinguino. Agnelli propose qualsiasi cifra per quel pinguino, le cui tracce si sono poi perse nella tenuta di Villar Perosa. Un altro «pezzo mancante» della storia. Un altro interrogativo insoluto come quello del rapporto tra la città di Torino e i padroni della Fiat. «Vivendo da sempre in questa città - ricorda Giulia Graglia - ho sempre sentito parlare male degli Agnelli.

Eppure alla camera ardente dell’Avvocato è passata tutta la città, sottoponendosi a ore e ore di fila». Che sembra fare il paio con il ricordo dell’ex sindaco di Villar Perosa. «Mi manca il rumore delle pale dell’elicottero dell’Avvocato. Con gli anni era diventato un suono rassicurante».

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