Roma - Per un governo che vuole a tutti i costi vestire l’abito «liberalizzatore», dribblare le critiche innescate dal decreto Gentiloni non è certo impresa facile. Tanto più se queste arrivano da un’Authority indipendente e colpiscono uno dei punti più deboli e, appunto, più manifestamente «illiberali» della legge: il tetto imposto alla raccolta pubblicitaria.
A salire sul banco degli accusatori e a mettere il dito nelle contraddizioni del ddl è il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà. Per il Garante della concorrenza, intervistato da Lucia Annunziata a «In mezz’ora», «non si possono porre tetti al fatturato di un’azienda, perché se ne deprime la crescita, e per Mediaset la raccolta pubblicitaria è gran parte del fatturato». «Per la Rai c’è anche il canone ma per Mediaset - aggiunge Catricalà - non c’è». «Su questo punto ha ragione Berlusconi?» domanda l’Annunziata. «Sì» è la replica secca del presidente dell’Antitrust.
Il colpo è di quelli pesanti. Ma naturalmente il ministro Gentiloni, anche lui in tv a «Domenica in», difende la scelta del suo ddl di porre un limite del 45% agli introiti da spot per ciascun operatore. «Anche le precedenti leggi di sistema, la Maccanico e la Gasparri, contenevano limiti, in alcuni casi ancor più restrittivi. Se vogliamo dare al sistema più concorrenza, sia dal punto di vista economico che del pluralismo, questa è la strada da percorrere». Per il ministro comunque «in Parlamento c’è spazio per un dialogo sui contenuti della riforma del settore tv». In particolare Gentiloni fa sapere di «avere apprezzato le dichiarazioni di diversi esponenti dell’opposizione: per esempio da Casini è venuta grande disponibilità a discutere». Quanto alle dure parole di Silvio Berlusconi che ha definito il ddl «un piano criminale», il ministro ribatte accusando il leader di Fi di «difendere gli interessi della sua azienda, e questo è uno dei problemi del Paese». L’affondo di Catricalà, però, non passa inosservato dalle parti del centrodestra. «Ci auguriamo che le osservazioni motivate e serie sul ddl Gentiloni fatte dal presidente dell’Antitrust costituiscano un imprescindibile elemento di riflessione da parte del governo» scrive in una nota il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi.
E Fabrizio Cicchitto sottolinea come «Catricalà, la cui indipendenza è rappresentata da altre sue prese di posizione che il centrodestra non ha affatto gradito, ha colto l’aspetto debole e perverso del disegno di legge Gentiloni, al punto che lo stesso ministro delle Comunicazioni si trova ora nell’imbarazzante posizione di difendere un provvedimento che è indifendibile e che appare per quello che è: un attacco frontale a una società quotata in borsa perché di essa è azionista il capo dell’opposizione». Una bocciatura sonante del ddl Gentiloni arriva anche dal presidente dei Riformatori liberali, Benedetto Della Vedova, per il quale «il Ddl Gentiloni risponde a una filosofia dirigista e superata. Mentre il settore televisivo si disarticola grazie anche a una molteplicità di supporti (satellite, digitale terrestre, televisione via internet) Gentiloni resta ancorato a logiche che, forse, erano valide 20 anni fa».
Non manca la dura presa di posizione del presidente della Vigilanza, Mario Landolfi. «Catricalà coglie nel segno. Il Ddl Gentiloni confonde la tutela del pluralismo che spetta ai governi e ai Parlamenti con la tutela della concorrenza che è invece pertinenza di Autorità indipendenti. Fissare per legge un tetto alla raccolta pubblicitaria rappresenta nel metodo un arbitrio che non sta né in cielo né in terra e che nel merito si configura come un’indebita ingerenza dei governi nella vita e nelle attività delle imprese specie per quelle quotate in Borsa».
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