L'autodistruzione dei palestinesi

L'autodistruzione dei palestinesi

I palestinesi sono di nuovo riusciti ad autodistruggersi, a rendere impossibile la soddisfazione delle loro richieste: così è stato per 60 anni di rifiuto ad ogni soluzione di compromesso, così è di nuovo oggi con l’avvento al potere dell’integralismo islamico a Gaza, con la debolezza del nuovo governo di Fatah. Il terrore di Arafat era di morire nell’irrilevanza, ieri la sua casa è stata saccheggiataa Gaza da giovani mascherati che non sanno quasi nulla del rais ma tutto sul compito storico di distruggere Israele per restituire la terra all’Ummah dei credenti, e di battere i non credenti e gli apostati in tutto il mondo, con l’aiuto di Dio e dell’Iran, che adesso può contare su due confini con Israele, in Libano e a Gaza.

Tentiamo, forti solo di un pessimismo che in questi anni si è sempre provato sensato, di rispondere alle domande poste più frequentemente in questi giorni.
Hamas ha vinto del tutto? Perché così rapidamente? Hamas ha vinto inmododevastante, la radicalità dell’evento si è mostrata tutta quando Hamas - dopo aver giustiziato, terrorizzato, messo in fuga i concittadini che con grandi bagagli cercano di fuggire dal passaggio di Erez verso Israele a migliaia - ha innalzato la bandiera verde dell’Islam sugli uffici di Fatah al posto della bandiera palestinese. La fuga verso l’Egitto di tutti i capi di Fatah, persino di Mahmoud Dahlan, ha privato di ordini i 40mila armati di Abu Mazen di stanza a Gaza. Hamas ha distrutto il nemico rapidamente con enorme spargimento di sangue, omicidi che hanno coinvolto donne e bambini, fucilazioni a sangue freddo, bombardamenti di ospedali e moschee, e Fatah che ha anch’essa defenestrato e ucciso a sangue freddo, pure è stata debole nella risposta. La gente non era con lei, Abu Mazen non aveva saputo in questi mesi convincere che le sue bande corrotte e crudeli avrebbero portato qualcosa di buono ai palestinesi, anche se i suoi toni moderati promettevano un domani migliore e la pace con Israele. Il declino di Fatah iniziò con la morte di Arafat nel 2004. Hamas vinse le elezioni nel gennaio 2006 perché i leader di Fatah si erano comportati come una banda di potere violenta e disonesta, e perché la linea dell’integralismo islamico rampante era sempre più eccitante, e forte di alleanze e aiuti internazionali.

Lo sgombero israeliano da Gaza ha esaltato Hamas. Le masse palestinesi si sono guardate bene dal correre in aiuto di un potere che considerano una mela marcia, quello di Abu Mazen. Molti leader di Hamas ora dichiarano l’intenzione di sciogliere l’Olp secolare e peccaminoso. Anche nell’West Bank Hamas può vincere? Certamente la forza di Fatah in quelle zone e la presenza dell’esercito israeliano nelle vicinanze delle città rendono moltomenofacile il compito di Hamas; Israele è paradossalmente l’unica forza della causa nazionale palestinese oggi. Ma la popolarità di Hamas è in crescita anche nell’West Bank dove vinse le elezioni in molte città. La gente disgustata da Fatah potrebbe scegliere Hamas o cedergli in una guerra che già in queste ore a Nablus e a Ramallah sta facendo morti e feriti.

Che cosa significa, che i palestinesi hanno concluso per sempre la loro marcia verso lo Stato indipendente? Al momento l’appuntamento sembra rimandato. Oggi abbiamo di fatto al sud un mini Stato terrorista e integralista collegato all’Iran, che è il grande sponsor economico e ideologico (benché sciita) di tutta l’operazione, e una fragile entità nazionalista impegnata in lotte interne nell’West Bank. Difficile immaginare seri colloqui, anche se Abu Mazen resterà l’interlocutore di Israele.

Qual è il disegno di Hamas? Il suo piano va oltre Israele. Hamas si sente oggi cruciale nello scontro fra quello che reputa il vero Islam e il mondo occidentale peccatore. Khaled Mashaal intende inaugurare la seconda era della storia palestinese dopo quella di Arafat, un’era in cui l’Islam conquisterà il mondo, forte di un’alleanza momentane a formata da sunniti e sciiti contro l’Occidente. Mashaal, il vero capo di Hamas, da Damasco è in costante contatto con la Siria, gli iraniani, gli hezbollah. Anche Al Qaida giuoca nell’West Bank un grande ruolo, come ripetono gli egiziani. E al vertice che l’Arabia Saudita promosse alla Mecca a febbraio fra Fatah e Hamas, di fatto Hamas uscì avendo imposto al cosiddetto fronte moderato la sua politica: ottenne denaro e accordi senza rinunciare né ai suoi piani né alla pioggia di kassam su Israele. Mashaal vuole distruggere ogni residuo di atteggiamento occidentale e democratico fra i palestinesi, fare del suo popolo, forte di una grande alleanza, un mini Iran sunnita devoto alla distruzione di Israele e al predominio messianico sul mondo ebraico e cristiano, che disprezza.

Ci sarà presto una guerra? Non è detto: può darsi che Mashaal ora intenda costruire bene la sua forza militare a Gaza e conquistare l’ West Bank sull’onda della paura e del rispetto indotti nei cittadini di Ramallah, Betlemmeecc., e della sfiducia nella forza imbelle di Fatah. Hamas probabilmente sta anche calcolandocomeevitare che Egitto e Giordania non si trasformino in nemici attivi.

Cosa faranno i Paesi arabi nella nuova situazione? I Paesi arabi moderati sono tutt’altro che contenti. Gli egiziani sanno che i loro Fratelli Musulmani sono eccitati dalla nuova situazione... È una vittoria dell’«asse del male».

E quindi i moderati finalmente agiranno? L’Egitto chiuderà alle armi e ai terroristi il cosiddetto «sentiero di Filadelfia» fra Gaza e Egitto, attraverso il quale passano tutte le risorse belliche di Hamas? È possibile che l’Egitto si occupi di Gaza e la Giordania dell’West Bank. Che si riapra una prospettiva di confederazione palestinese (di Fatah) giordana. Si può opinare che i Paesi arabi ora si decidano a impegnarsi per disinnescare la bomba Hamas. Per trovare una soluzione fra le due parti, bloccare il terrorismo rampante e un’esplosione generale, la Lega Araba, con Egitto e Giordania in prima fila, potrebbero decidersi a fare qualcosa; Mubarak dovrebbe bloccare l’afflusso di armi in Egitto. Bisognerà anche guardare a che cosa farà la Siria, che tem e il processo per l’asassinio di Rafik Hariri, è legata a doppio filo all’Iran, è la porta di passaggio del terrorismo in Irak.

Israele interverrà nelle faccende Palestinesi? Se ne terrà fuori più a lungo che può, anche se ambedue le parti, sia Hamas per galvanizzare i palestinesi intorno a sé, sia Fatah per stabilire uno scudo di fronte all’integralismo islamico, cercheranno di coinvolgerla. È probabile un’ondata di attacchi terroristi. Potremo certo vedere una politica israeliana nettamente diversa verso l’una e l’altra parte, può darsi che Israele riesca a fare accordi chiari con Abu Mazen: George Bush, nell’incontro di domani a Washington con Ehud Olmert, glielo chiederà. Gli chiederà anche di fornire come sempre a Gaza elettricità, latte, medicine, aiuto medico... e di seguitare nonostante tutto a sostenere Abu Mazen, aprire check point, versare i fondi delle tasse... Olmert lo farà, in cambio di un forte impegno americano sull’Iran, il vero grande problema di tutti in Medio Oriente e nel mondo.

Cosa possiamo sperare? Speriamo che ora l’Europa non si rimetta a dire che bisogna parlare con Hamas, dato che proprio il suo atteggiamento disponibile, tentennante, impaurito, ha portato insieme ad altri fattori al disastro attuale. Sarebbe bello anche che non si seguitasse razzisticamente a ignorare le atrocità commesse in questi giorni negli scontri fra i palestinesi, come se fosse legittimo ammazzarsi fra arabi.

Una forza di pace può aiutare? Solo se è disposta a prendere le armi contro Hamas che ha già dichiarato la sua radicale ostilità all’idea.

Se si guarda all’Unifil, ormai gli Hezbollah sono riarmati di tutto punto e pronti alla guerra: una forza di pace ha ed avrà sempre difficoltà a fronteggiare una forza terrorista e senza scrupoli. E Hamas lo è. Fiamma Nirenstein

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica