Fabrizio De Feo
da Roma
Le parole sono parole. I numeri sono fatti. Così, pur non lesinando certo le parole, Silvio Berlusconi ricorre in ogni occasione utile alla forza dei dati per scattare una fotografia quanto più possibile neutrale del lavoro fatto dal suo governo. Lultimo scatto risale a ieri. «Lesecutivo ha un primato mai eguagliato in tutta la storia della Repubblica: il varo del maggior numero di provvedimenti: 617 da parte del Consiglio dei ministri, fino alla riunione della scorsa settimana» annuncia il premier. «Il Parlamento ha trasformato in legge dello Stato ben 479 provvedimenti, altri 43 hanno avuto il via libera da un solo ramo del Parlamento». E con lapprovazione della devoluzione «sono 22 le riforme attuate sulle 24 previste. Il programma sarà completato con il varo della riforma del Tfr e della riforma del diritto fallimentare. Sono molto ottimista su un completamento del programma vicino al 100%».
La visione in rosa del premier, naturalmente, fa scattare robusti travasi di bile nellopposizione, pronta a scatenare la contraerea del disfattismo verbale. Ma la produttività del governo Berlusconi è un dato di fatto difficile da smentire. Con un merito spesso disconosciuto: aver compiuto scelte (le grandi opere innanzitutto) che hanno avuto un effetto anticiclico e anticrisi in uno dei momenti più difficili della storia dellItalia repubblicana a causa dei contraccolpi della crisi economica mondiale e dell11 Settembre. Soltanto due giorni fa il ministro per lAttuazione del Programma, Stefano Caldoro, in una conferenza stampa per la presentazione di «Monitor» - programma informatico che consente di monitorare in tempo reale lattività normativa del governo - dimostrava, dati alla mano, che oltre l85% dei provvedimenti normativi varati dal governo (1705 al 13 settembre 2005, contando, oltre quelli presi in considerazione dal premier, provvedimenti minori come i decreti legislativi, i decreti del presidente della Repubblica e quelli della presidenza del Consiglio) sono stati chiusi e realizzati. Qualcuno obietterà che la quantità da sola non assicura la qualità dellazione di governo. Fatto sta che i provvedimenti realizzati facevano parte di quel programma «approvato» dagli elettori con il voto del 13 maggio 2001. E sono quindi espressione della volontà popolare.
Le riforme compiute dal governo, ben scolpite nelle menti degli ultrà berlusconiani, finiscono spesso nel tritacarne della protesta sindacal-militante o in quella degli indignati speciali del centrosinistra e vengono spesso dimenticate dai cittadini più distratti. Per questo vale la pena ricordare come il governo abbia avviato grandi riforme strutturali (pensioni, lavoro, scuola, grandi opere, immigrazione) indispensabili ad affrontare il nuovo contesto economico e politico mondiale. Riforme che, difficilmente, al di là di piccoli restauri di facciata, saranno «smontate» o rase al suolo in caso di vittoria del centrosinistra. Senza dimenticare - per parlare di cose che incidono direttamente nella vita degli italiani - che con la legge Biagi la disoccupazione è scesa dal 10,4 al 7,5%, portando il numero degli occupati al livello più alto da quando esistono le rilevazioni Istat. Che il servizio di leva non cè più. Che per i bebè cè il bonus da mille euro; per i quasi sessantenni che rinviano la pensione cè un bonus esentasse pari al 33% della busta paga; sulle strade, grazie alla patente a punti, ci sono migliaia di vittime in meno; che sono state avviate 86 opere pubbliche. E ancora: gli sbarchi dei clandestini si sono quasi dimezzati e il numero dei delitti è diminuito. Con una postilla dobbligo dedicata alla pressione fiscale. Non sarà stato realizzato labbattimento delle aliquote sognato nel 2001.
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