Lavoro, scuola, cantieri e pensioni Rispettato il contratto con gli italiani

La disoccupazione è scesa dal 10,4 al 7,5% e gli sbarchi dei clandestini sono dimezzati

Fabrizio De Feo

da Roma

Le parole sono parole. I numeri sono fatti. Così, pur non lesinando certo le parole, Silvio Berlusconi ricorre in ogni occasione utile alla forza dei dati per scattare una fotografia quanto più possibile neutrale del lavoro fatto dal suo governo. L’ultimo scatto risale a ieri. «L’esecutivo ha un primato mai eguagliato in tutta la storia della Repubblica: il varo del maggior numero di provvedimenti: 617 da parte del Consiglio dei ministri, fino alla riunione della scorsa settimana» annuncia il premier. «Il Parlamento ha trasformato in legge dello Stato ben 479 provvedimenti, altri 43 hanno avuto il via libera da un solo ramo del Parlamento». E con l’approvazione della devoluzione «sono 22 le riforme attuate sulle 24 previste. Il programma sarà completato con il varo della riforma del Tfr e della riforma del diritto fallimentare. Sono molto ottimista su un completamento del programma vicino al 100%».
La visione in rosa del premier, naturalmente, fa scattare robusti travasi di bile nell’opposizione, pronta a scatenare la contraerea del disfattismo verbale. Ma la produttività del governo Berlusconi è un dato di fatto difficile da smentire. Con un merito spesso disconosciuto: aver compiuto scelte (le grandi opere innanzitutto) che hanno avuto un effetto anticiclico e anticrisi in uno dei momenti più difficili della storia dell’Italia repubblicana a causa dei contraccolpi della crisi economica mondiale e dell’11 Settembre. Soltanto due giorni fa il ministro per l’Attuazione del Programma, Stefano Caldoro, in una conferenza stampa per la presentazione di «Monitor» - programma informatico che consente di monitorare in tempo reale l’attività normativa del governo - dimostrava, dati alla mano, che oltre l’85% dei provvedimenti normativi varati dal governo (1705 al 13 settembre 2005, contando, oltre quelli presi in considerazione dal premier, provvedimenti minori come i decreti legislativi, i decreti del presidente della Repubblica e quelli della presidenza del Consiglio) sono stati chiusi e realizzati. Qualcuno obietterà che la quantità da sola non assicura la qualità dell’azione di governo. Fatto sta che i provvedimenti realizzati facevano parte di quel programma «approvato» dagli elettori con il voto del 13 maggio 2001. E sono quindi espressione della volontà popolare.
Le riforme compiute dal governo, ben scolpite nelle menti degli ultrà berlusconiani, finiscono spesso nel tritacarne della protesta sindacal-militante o in quella degli indignati speciali del centrosinistra e vengono spesso dimenticate dai cittadini più distratti. Per questo vale la pena ricordare come il governo abbia avviato grandi riforme strutturali (pensioni, lavoro, scuola, grandi opere, immigrazione) indispensabili ad affrontare il nuovo contesto economico e politico mondiale. Riforme che, difficilmente, al di là di piccoli restauri di facciata, saranno «smontate» o rase al suolo in caso di vittoria del centrosinistra. Senza dimenticare - per parlare di cose che incidono direttamente nella vita degli italiani - che con la legge Biagi la disoccupazione è scesa dal 10,4 al 7,5%, portando il numero degli occupati al livello più alto da quando esistono le rilevazioni Istat. Che il servizio di leva non c’è più. Che per i bebè c’è il bonus da mille euro; per i quasi sessantenni che rinviano la pensione c’è un bonus esentasse pari al 33% della busta paga; sulle strade, grazie alla patente a punti, ci sono migliaia di vittime in meno; che sono state avviate 86 opere pubbliche. E ancora: gli sbarchi dei clandestini si sono quasi dimezzati e il numero dei delitti è diminuito. Con una postilla d’obbligo dedicata alla pressione fiscale. Non sarà stato realizzato l’abbattimento delle aliquote sognato nel 2001.

Ma è un fatto che la pressione fiscale è scesa dal 44,5% del 1997 al 41% del 2005, con una media di 627 euro a testa di risparmio anche tenendo conto del maggiore aggravio delle imposte regionali e comunali e con 13,2 milioni di cittadini che non pagano più una lira di tasse. Una serie di scommesse vinte, troppo spesso disperse nelle nebbie della propaganda antigovernativa.

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