Il lavoro? Tre milioni non lo cercano neppure

RomaL’Italia è l’unico Paese europeo dove ci sono più inattivi che disoccupati. Tradotto dallo statistichese all’italiano, siamo gli unici dove i classici senza lavoro, quelli che un impiego lo cercano, sono meno rispetto a quelli che hanno rinunciato: non mandano curriculum, ignorano i centri per l’impiego e non consultano più gli annunci. Ma è anche vero che, insistendo e scavando nelle intenzioni, la gran parte di questi è sì scoraggiata, ma è anche disponibile a lavorare.
Peculiarità del Belpaese e, forse, più in generale, di un mercato del lavoro ingessato che, spiega il giuslavorista Michele Tiraboschi, rischia di peggiorare. «Il governo si appresta a varare una riforma dove esiste solo il lavoro dipendente a tempo indeterminato. E non si è accorto che l’Italia è fatta di lavoro nero, disoccupati e inoccupati. Persone poco qualificate che fanno fatica a rientrare. Colpire i contratti a termine, quelli di inserimento significa proprio penalizzare i più deboli. I dati sugli inoccupati dovrebbero servire da monito al governo, che si appresta a colpire milioni di persone con la riforma».
L’Istat ha quantificato dei diversi gruppi di senza lavoro. Gli inattivi che sono disponibili a lavorare sono 2 milioni 897 mila, in aumento del 4,8% rispetto all’anno precedente. Non erano mai stati così tanti dal 2004. I disoccupati in senso stretto, cioè attivamente impegnati a cercare un impiego, sono 2 milioni 108mila. Nel resto dell’Europa gli inattivi sono appena la metà dei disoccupati. Ancora più netta la distanza dell’Italia dal resto dell’Europa se si considera la quota di inattivi rispetto alle forze di lavoro: 11,6% contro una media Ue del 3,6%.
Il gruppo degli inattivi è fortemente caratterizzato dal fenomeno dello scoraggiamento: il 43 per cento (circa 1,2 milioni di unità) dichiara di non aver cercato un impiego perché convinto di non riuscire a trovarlo. Ma questo non significa che non siano disposti ad accettarne uno.
L’Istat è andata oltre e ha quantificato anche gli inattivi che cercano un impiego ma non sono disponibili a lavorare subito. Sono 121mila unità (-4,4%, pari a 6mila unità in meno in un anno). Si tratta dello 0,5% delle forze lavoro (l'1% nell'Unione europea). Sommando i tre gruppi si deduce che le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo sono circa 5 milioni.
Tra il lavoro a disposizione del mercato, ma non utilizzato c’è anche quello dei sottoccupati part time, che vorrebbero lavorare di più. Non sono molti. Nel 2011 erano 451mila unità (+3,9%, pari a 17mila unità in più rispetto al 2010) e rappresentano l’1,8% del totale delle forze lavoro. Nell'Unione europea l'incidenza è pari al 3,6%.
Confermate le caratteristiche degli inattivi. In prevalenza donne (il 16,8% contro il 7,9% della forza lavoro) sempre più giovani (dal 30,9% delle forze lavoro giovanili del 2010 al 33,9% del 2011) e meridionali. Nel Sud Italia un quarto della forza lavoro rientra tra gli inattivi. Tra gli inattivi, quelli delle regioni del Mezzogiorno sono quasi il 70% del totale. Il problema - rivelano gli statistici - è una formazione non adeguata. Tra gli inattivi prevalgono i titoli di studio più bassi: il 56% degli inattivi ha la licenza elementare, 36% quella media e solo il 7,2% è composto da laureati. Ma sono quasi tutti italiani: gli stranieri inattivi si fermano al 10%.


Per i sindacati i dati Istat sono la conferma di un’emergenza. E per Giorgio Santini della Cisl, devono servire da sprone affinché si approvi subito la riforma. Per Guglielmo Loy della Uil, invece, «senza ripresa il problema non si risolve».

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