L'avvocato Grassani: "È un obbrobrio giuridico, non ci volevo credere"

L’esperto di diritto sportivo: "Tutte le altre federazioni hanno abolito l’insufficienza di prove"

L'avvocato Grassani: "È un obbrobrio giuridico, non ci volevo credere"

Avvocato Grassani, da grande esperto di diritto sportivo, come si pone davanti alla sentenza del Consiglio mondiale della Fia?
«Al momento non ci volevo credere ma poi, proprio perché sono un cultore della giustizia sportiva, mi sono messo le mani tra i capelli».
Scandalizzato?
«Peggio, addirittura disgustato. Anche se nella federazione dell’auto esiste ancora “l’insufficienza di prove“, un istituto giuridico bandito da tutte le altre federazioni. La sostanza è: o si è colpevoli oppure no e il marchingegno trovato dalla Fia è un obbrobrio giuridico. Incomprensibile».
Si spieghi meglio, avvocato.
«Dico perché è inverosimile la decisione della Fia: è stato provato che la McLaren era in possesso delle informazioni sui piani della Ferrari, ma non è stato dimostrato che li abbia usati. Qui sta l’assurdo, perché è come se fosse stato fatto un furto ma non venisse trovata la prova dei proventi derivanti da quel furto. O, meglio ancora: c’è una rapina in banca, ma il rapinatore viene scagionato prima ancora che si sia fatto dare dal cassiere i soldi».
Beh, ma chi entra in banca per rapinare spianando una pistola, senza riuscire a fare la rapina perché fermato dalla vigilanza, non è che se la cava così a buon mercato.
«Appunto, la McLaren ha fatto proprio così. È stata presa sul fatto, come un bambino con le mani nella marmellata, ma è stata scagionata perché aveva solo le mani nella marmellata e non se le era messe in bocca per gustarsela. È come se un corpo del reato venisse trovato in casa, ma il colpevole non potrebbe essere giudicato a meno che confessi il reato e per questo non si dà luogo alle sanzioni. Ma c’è anche dell’altro».
Non ci faccia stare in ansia...
«È assurdo anche il regolamento della Fia, perché l’organo politico-amministrativo svolge anche funzioni giudicanti. È come se un cittadino in tribunale si trovi ad essere giudicato da Prodi o da Marini. Gli organi inquirenti devono essere ben differenziati da quelli giudicanti, tra di loro non può esservi commistione. È un po’ il tema della separazione delle carriere nel nostro ordinamento giuridico: chi fa le indagini non può sedere poi sullo scranno più alto anche per giudicare».
Lei però si ricorderà che nel caso del ciclista Ivan Basso, solo per il fatto che una sacca del suo sangue sia stata trovata nella casa del dottor Fuentes, è arrivata una condanna pesantissima di due anni di squalifica. Tra ciclismo e auto c’è qualcosa che non quadra.
«Non quadra no perché nel ciclismo, per il solo fatto di aver pensato di doparsi, si viene sospesi. L’ipotesi dopante è come se ci si fosse dopati davvero e questo è l’altro estremo della giustizia sportiva.

Sono due eccessi, opposti e contrari: nel ciclismo basta pensare al doping, nell’auto invece sottrarre segreti dei rivali non è sufficiente alla punizione. Bisogna provare che la ruberia sia stata sfruttata e qui sta l’altro assurdo giuridico-sportivo».

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