Leader in ritardo e pioggia Ecco le vere ragioni dei fischi all’inno nazionale

da Milano

A Vicenza chi ha preso fiaschi per fischi? Ovvero, quante volte l’inno di Mameli ha provocato i sibili del popolo del centrodestra confluito sabato scorso in piazza dei Signori? Ieri il Gazzettino, quotidiano del Nordest, ha provato a mettere un punto fermo alla vicenda. E lo fa con un articolo che ricostruisce i fatti di sabato e la genesi del relativo caso politico.
L’inviato del Gazzettino Ario Gervasutti, che sabato era a Vicenza in piazza dei Signori, ricorda che il comizio dell’opposizione doveva cominciare alle 10, che già alle 9.30, sotto una fitta pioggia, il popolo del centrodestra aveva riempito la piazza e che il primo big ad arrivare sul posto è stato Gianfranco Fini, giunto alle 10.40. Poco dopo le 10, nell’attesa che gli oratori guadagnassero il palco, gli organizzatori hanno pensato di diffondere l’inno nazionale attraverso gli amplificatori preparati per il comizio, anche per segnalare che la manifestazione sarebbe cominciata nel giro di pochi minuti. Alla prima esecuzione del «Canto degli italiani», più conosciuto come Inno di Mameli, niente fischi. Stessa cosa in occasione della seconda, diffusa dopo poco. E alla terza, seguita a ruota. A questo punto è arrivato il leader di An. Ma poiché Silvio Berlusconi e Umberto Bossi ancora non si vedevano, sono risuonate per la quarta volta le note del «Canto». A quel punto, una decina di leghisti riconoscibili per la grande bandiera di San Marco attorno alla quale avevano preso posizione, ha rumoreggiato e fischiato. E subito dopo, con il risultato di placare i sibili dei fedeli del Carroccio ma non il malumore del resto della piazza - decisamente più infastidita dalla pioggia e dall’attesa che da Mameli -, gli organizzatori hanno diffuso «Va’ pensiero». Subito dopo, ecco il Cavaliere, il Senatùr e Fini prendere posto sul palco; accompagnati dalla quinta esecuzione dell’inno nazionale, come le prime tre del tutto ignorata dalla piazza.
Finalmente discorsi e applausi. E chiusura della manifestazione, con la sesta e ultima esecuzione di Mameli, snobbata dalla stragrande maggioranza dei presenti, più preoccupati di sottrarsi in fretta alla pioggia che di altro.
Ma i fischi nel frattempo erano finiti nel titolo del «lancio» della breve notizia che un’agenzia di stampa ha trasmesso prima dei resoconti degli interventi. Dopo mezz’ora il sito della Repubblica riprendeva i «fischi di Vicenza» e il caso montava inesorabilmente. Le altre agenzie cercavano di recuperare quello che in gergo giornalistico si chiama «buco» e sfornavano «lanci» sulla contestazione, uno dei quali riportava che «per sei volte il popolo della Lega ha fischiato l’inno di Mameli». Notizia rinforzata ben presto da altri «lanci» dedicati ai commenti dei politici.

Il leghista Luca Zaia, vicepresidente della Regione Veneto, non si faceva sfuggire l’occasione per ricordare che «in piazza siamo in tanti», ed era seguito a ruota dal ministro ds Vannino Chiti, che si diceva colpito perché «l’inno è stato fischiato per sei volte». A seguire un’alluvione di verdi, comunisti, ds, centristi di vario colore e repubblicani indignati. Il tutto per pochi fischi... O meglio, come ha detto Andrea Ronchi di An, per «pochi fessi».

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