Lega, quella difesa di Giulio per ottenere la Lombardia

RomaAut vincere aut mori parati. «Preparati a vincere o a morire». Lo slogan della Compagnia della morte di Alberto da Giussano prima della battaglia di Legnano contro il Barbarossa si attaglia bene a quella del leader del Carroccio, Umberto Bossi, ma solo in parte. Perché il Senatùr è sempre pronto alla vittoria, ma non certo a morire in virtù di un calcolo politico sbagliato. E Giulio Tremonti non «vale» di certo l’agognata guida della Regione Lombardia.
Il caloroso appoggio al ministro dell’Economia di questi giorni, buona ultima la «benedizione» alla nomina a vicepremier, ha un suo risvolto preciso: la battaglia per le candidature alle Regionali dell’anno prossimo. Bossi ha sempre chiesto il Veneto, vuole il Veneto e, interpellato, ha sempre detto: «Il Veneto alla Lega? Per forza!».
Ma la tattica bossiana è molto più raffinata di quello che appare dalle dichiarazioni. La Lega vorrebbe il Pirellone, un’ambizione mai nascosta e mai sopita, e avrebbe un candidato autorevole: il viceministro delle Infrastrutture ed ex Guardasigilli Roberto Castelli. Al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, la proposta non dispiacerebbe anche perché i rapporti personali con l’esponente leghista sono ottimi sin dai tempi del precedente governo. L’unico problema sarebbe quello di metter mano a un delicato rimpasto di governo per recuperare l’attuale governatore Roberto Formigoni, molto più delicato di un’eventuale «staffetta» Zaia-Galan.
Ecco perché tutte le parole di Umberto Bossi vanno soppesate e misurate, se non interpretate come si faceva ai tempi del facondo Aldo Moro. Tremonti deve diventare vicepremier? «Secondo me sì», ha risposto ieri. «Da ministro - ha spiegato - Tremonti può stabilizzare. Dal punto di vista economico è un ottimo ministro, poi ha tutti i contatti che servono in Europa». Il titolare del Tesoro, secondo il Senatùr, «ha in Europa tutte le conoscenze giuste e se l’Europa insiste, c’è il rischio di dover aumentare le tasse per decreto».
«Stabilizzazione» va letta in controluce e suona piuttosto come «indebolimento». Le polemiche tremontiane indeboliscono la tenuta dell’esecutivo e la sua azione. Ecco perché c’è dell’altro dietro l’attacco ai «pasticcioni del Pdl» e la solidarietà all’economista valtellinese definito una «garanzia contro gli spendaccioni che ci sono nel governo». Un vicepremier, infatti, non sarebbe un commissariamento del presidente del Consiglio. «Sono tutte stupidaggini. Tremonti è amico di Berlusconi, non gli farebbe mai una cosa del genere», ha dichiarato.
Questa è l’architrave del Bossi-pensiero. Da un lato confuta i sospetti del presidente della Camera Fini e dell’area ex An del Pdl che già si era fatta sentire con il vicecapogruppo a Montecitorio Italo Bocchino («È giusto che la valutazione avvenga all’interno del Pdl»). Dall’altro lato, ammonisce lo stesso titolare del Tesoro a non tirare troppo la corda.
Ed è su questa linea che si è sviluppata l’azione del segretario della Lega in tutta la legislatura. La corsia preferenziale per il federalismo fiscale, l’attenzione alle imprese settentrionali con il rifinanziamento della cassa integrazione e la disponibilità verso le esigenze dei ministri leghisti hanno meritato a Tremonti l’appoggio bossiano, ma con un limite ben preciso.

Su questioni prettamente territoriali come il piano casa, l’osservatorio delle prefetture sul credito, i trasferimenti alle Regioni e il partito del Sud nella sua accezione meno clientelista, il Senatùr si è smarcato dall’amico Giulio. E anche la partita per il Pirellone ha una delicatezza e un’importanza tutte particolari. Come per Alberto da Giussano la battaglia di Legnano.

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