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Legge elettorale, Berlusconi gela Prodi: non può essere lui il garante dell’intesa

Il leader azzurro scettico sull’offerta di dialogo: un trucco per restare in sella. "Casini sta dando segnali confortanti"

Legge elettorale, Berlusconi gela Prodi: non può essere lui il garante dell’intesa

Roma - Nonostante il lavorio delle diplomazie di Palazzo Chigi (Enrico Letta) e Palazzo Grazioli (Gianni Letta), Berlusconi non pare intenzionato a cambiare linea. Sull’offerta di dialogo di Prodi e sul confronto per la riforma della legge elettorale, infatti, il Cavaliere resta decisamente scettico. E non ne fa mistero durante l’incontro a porte chiuse con i coordinatori regionali di Forza Italia, ripetendo più d’una volta che se «Prodi non è neanche in grado di guidare il Paese», certo non può «farsi garante di un’intesa sulle riforme». Quello del premier, spiega Berlusconi, «è solo un tentativo di prendere tempo, un alibi per restare in sella».
Prodi - è il ragionamento - non si fida della sua maggioranza e allora chiede aiuto all’opposizione. È per questo che il Cavaliere ribadisce che «la partita si giocherà a livello parlamentare» e che lui non ha «alcuna intenzione di vedere» il premier. Anche perché, continua Berlusconi con i coordinatori, «la legge elettorale, come dimostrano i sondaggi, non è certo la priorità dei nostri elettori» che invece «ci chiede di confermare una linea di opposizione dura». Alle consultazioni della prossima settimana, dunque, parteciperanno come previsto i capigruppo di Camera e Senato Vito e Schifani. E chiederanno - questo ribadisce l’ex premier durante la riunione - solo «qualche piccolo aggiustamento» all’attuale legge e, magari, «uno sbarramento al 4% da concordare con gli alleati». Confermato, dunque, il «no» al modello tedesco. E il lavoro delle diplomazie per portare il centrodestra a una posizione comune, perché - dice Berlusconi - l’obiettivo di Prodi «è dividerci».
Sul punto si sarebbe già molto avanti se il vicecoordinatore azzurro Cicchitto parla di «piattaforma comune con Lega, An e in parte l’Udc» che «è fondata su punti precisi, a partire dallo schema D’Alimonte» (che prevede per il Senato il premio di maggioranza nazionale). E pure il vicepresidente di Forza Italia Tremonti ribadisce che il centrodestra è unito nel chiedere poche modifiche e poi subito il voto. Anche se non pare troppo convinto il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa che nell’incontro di oggi con Prodi «ribadirà la propensione dell’Udc per il modello tedesco».

Sulla legge elettorale si registra anche la cauta frenata della Lega. Con Maroni che bolla come «stravaganti» le ricostruzioni uscite sui giornali secondo cui il Carroccio pur di evitare il referendum sarebbe disponibile a sostenere il governo Prodi: «Stupidaggini, non lo faremo né ora né mai, né in modo aperto, né in modo mascherato». Ma martedì mattina, sia il capogruppo alla Camera che Calderoli erano stati molto aperturisti verso l’esecutivo e pure la telefonata tra Prodi e Bossi aveva dato all’incontro un sapore particolare. Insomma, che in molti avrebbero letto la visita del Carroccio a Palazzo Chigi come un’apertura di credito al premier era fin troppo prevedibile. Così, è più probabile che Maroni - che come tutti a via Bellerio vede il referendum come una pistola puntata contro la Lega - stia seguendo una precisa strategia per mandare messaggi alla maggioranza ma pure a Berlusconi, dal quale il Senatùr vorrebbe una presa di posizione netta e decisa contro il referendum.

«Noi - spiega il capogruppo a Montecitorio - crediamo semplicemente che se c’è l’accordo di tutti sulle riforme allora si può chiudere in dieci, dodici mesi al massimo. Altrimenti pazienza». E mentre il presidente del Senato Marini ribadisce che la riforma elettorale è «una priorità», Calderoli lancia la proposta di «approvare nel giro di un mese» la proposta di legge che ha presentato al Senato. Un unico articolo che abroga l’attuale legge e reintroduce il sistema elettorale precedente, in modo da «staccare la spina al referendum». Nella riunione a Palazzo Grazioli, il Cavaliere torna anche su Mediaset (c’è un «accanimento»), perché «non c’è un’azienda che potrebbe resistere» al ddl Gentiloni. Una battuta anche su Casini che, ragiona l’ex premier, sta «dando segnali confortanti».

Anche gli elettori dell’Udc - avrebbe detto - stanno soffrendo per le sue posizioni, spero che torni presto con noi anche perché al di fuori della coalizione non può avere ambizioni personali, mentre con il centrodestra sarebbero assolutamente legittime.

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