Roma - È più forte di loro, un po’ come il braccio rivelatore del Dottor Stranamore che - contro la sua volontà - scattava sempre in un saluto nazista, anche nei momenti meno opportuni. Così D’Alema, che alla formula «partito a vocazione maggioritaria» si sente salire il sangue al cervello e non riesce a trattenere una rappresaglia a colpi di «sistema tedesco». E così, specularmente, Veltroni, che non può sentire D’Alema parlare di alleanze con il centro senza invocare come «arma di fine di mondo» il ritorno al maggioritario. È più forte di loro. D’altra parte, non si può dire che i due non siano coerenti: sono circa quindici anni che, fedeli al copione, continuano a contrapporsi con gli stessi argomenti e per le stesse ragioni. Che abbiano vinto le elezioni o le abbiano perse; che uno sia al governo e l’altro al partito o viceversa; che si tratti del seminario di Gargonza nel 1996 o della festa Pd di Torino del 2010; che l’ennesimo governo Prodi sia stato fatto cadere dall’uno o dall’altro, si può star certi che prima o poi la tenzone riprenderà come se non si fosse mai interrotta.
Oggi, in mezzo ai duellanti, si ritrova Pier Luigi Bersani. Prima del rientro dalle vacanze di Massimo D’Alema, il segretario del Pd era riuscito miracolosamente a mettere d’accordo quasi tutto il partito sulla formula (sufficientemente vaga da andar bene a tutti) del «nuovo Ulivo», e sul fatto che, davanti a una possibile crisi finale della maggioranza di centrodestra, bisognasse tenersi pronti a dare la spallata finale, sostenendo un eventuale «governo di transizione» per fare la riforma elettorale. Quale riforma, Bersani si è ben guardato dal dirlo, saggiamente, ben sapendo che avrebbe scontentato tutti. Ma i veltroniani hanno subito mandato un segnale, ricordando che il Pd si è pronunciato in assemblea nazionale, solo qualche mese fa, a favore del sistema uninominale maggioritario. E i dirigenti vicini a Walter hanno in questi giorni sottoscritto in massa l’appello pro-uninominale lanciato da Marco Pannella. Sul quale, peraltro, hanno incassato anche le adesioni dei finiani, con gran dispetto dei dalemiani. D’Alema si è innervosito e, appena tornato dalle vacanze, ha rilasciato a Repubblica (cui l’appello a favore del maggioritario sta antipatico in quanto lanciato dal Corriere della Sera) un’intervista in cui liquida come «illusi» i fautori del maggioritario e sostiene che ci vuole invece un sistema proporzionale alla tedesca in cui «un centro forte si allea con la sinistra» (leggi: l’Udc si allea con noi del Pd).
Il paziente lavorio diplomatico agostano di Bersani è andato all’aria in un nanosecondo, Dario Franceschini e Peppe Fioroni hanno iniziato a sparare su D’Alema, Rosy Bindi (che aveva appena randellato Veltroni dicendogli che non può candidarsi alle primarie) pure e nel Pd è ripresa subito alla grande la rissa sulla riforma elettorale. Che peraltro difficilmente si farà, visto che il centrodestra è contrario. Bersani ha cercato di calmare le acque invitando tutti a «non impiccarsi a un modello», l’importante è restare uniti per far cadere Berlusconi. Ieri Arturo Parisi lo ha strattonato perché prenda una posizione (ben sapendo che in cuor suo il leader Pd la pensa come D’Alema, anche se non può dirlo): «Se il segretario media, come scrivono i giornali, chi rappresenta la linea del Pd? Non capisce Bersani - aggiunge Parisi - che talvolta i partiti muoiono a causa delle scelte che fanno, ma muoiono ancora più a causa delle scelte che non riescono a fare?».
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