Lomicidio di Vanessa Russo, la studentessa barbaramente ammazzata nella metro di Roma il 30 aprile scorso, farà scoppiare il bubbone che da anni sta infettando la nostra società: lincredibile squilibrio di valori che la legge ha creato fra una vita umana distrutta da un assassino violento e la pena esigua che sarà inferta al distruttore della vita, pena condita ed alleggerita con sconti, indulti e permessi di vario tipo.
Il discorso è di una semplicità sconcertante: lopinione pubblica è rabbrividita di fronte alle modalità e le circostanze delluccisione di Vanessa, ha gridato la terribile parola «ergastolo», «fine pena mai». Gli inquirenti hanno inquadrato lomicidio come volontario, quindi uccisione prevista e voluta, e si accingono a organizzare limpianto accusatorio in tal senso per chiedere il massimo della pena: 30 anni. Che poi grazie al rito abbreviato diverrebbero 20, seguiti da qualche sconto di pena e dai permessi che la legge prevede. In poche parole, dopo una decina di anni di vita in una struttura carceraria, lassassina di Vanessa potrebbe uscire a godersi la vita, quella vita che in un momento ha strappato alla sua povera vittima.
Cè un «ma» mastodontico e minaccioso. Come si fa a dimostrare che Doina Matei ha mirato intenzionalmente contro locchio della povera Vanessa, con la certezza che la punta sarebbe penetrata seguendo proprio quella specifica ed esclusiva direzione omicidiaria per andare a colpire il sistema arterioso del cervello? Come si fa a dimostrare che Doina era a conoscenza delle nozioni di anatomia e di tecnica dellaggressione con lombrello, per poi applicarle per uccidere Vanessa in modo mirato? Come si fa a dimostrare che Doina abbia accettato il rischio di uccidere Vanessa con quel colpo e che poteva prevederne la morte? Come si fa a dimostrare che la Matei poteva ritenere che la morte fosse la conseguenza diretta della sua azione? Come si fa a dimostrare che la forza impressa al colpo era determinata da volontà omicidiaria?
Purtroppo la nostra legge prevede che chiunque, con atti diretti a percuotere o cagionare lesione personale, cagiona la morte di una persona, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni. Per non parlare poi, sia delle circostanze criminogene che hanno visto nascere la discussione fra le ragazze e lazione o reazione della Doina, quella reazione di un decimo di secondo che ha prodotto la morte di Vanessa, sia dello stato psichico della Matei che poteva essere alterato da psicofarmaci, alcol o chissà cosaltro.
Il lettore ha ben compreso che ci si deve preparare a unennesima «non punizione» allitaliana, dove prima o poi (forse non in primo grado, ma in appello), vedremo che lomicidio della povera Vanessa sarà derubricato a omicidio preterintenzionale, con un rito abbreviato e qualche attenuante che faranno scontare allassassina di Vanessa solo qualche annetto di galera, alla faccia dei familiari della povera vittima, della vittima e di tutti noi che vogliamo un pena esemplare e severissima per chi sputa addosso alla vita altrui.
*criminologo
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