La legge di Inzaghi. E il Diavolo insegue laggiù

Oscar Eleni

da Milano

Stelle filanti appiccicose, sifonate addosso come usa adesso, una ragnatela dove il Milan in maschera ha bisogno di Super Pippo per dimenticarsi settantacinque minuti da quaresima, quella dove da tempo si affligge l’Empoli che di sicuro non meritava di prenderne tre, di prenderli in quel modo. Castigo massimo sapendo che Balli non ha fatto una parata, infilzato, dopo 77 minuti, da Inzaghi, il cavaliere elettrico, su deviazione di Vanigli a cui davvero non ne va una giusta, poi bucato da Shevchenko che pivotta su Ascoli e si spalanca il giardino, castigato, ancora una volta, da Pippo l’eternauta che ha stinchi dorati per tramutare in gol una punizione floscia di Sheva che prende terra e pallone servendo un assist involontario.
Prima di quella tempesta di coriandoli un palo per Costacurta, nel primo tempo, su un tiro che voleva essere servizio ai golosi cannonieri, un colpo di testa per Simic che si stampava sulla grande barra dopo un corner battuto da Kakà.
Milan in maschera, magari come il Bayern che sotto la neve della Baviera ha perso contro l’Amburgo, pensando, pure lui, alla sfida di Champions del prossimo mercoledì, ma questo non sarebbe bastato senza fare cambi che dimostrano come le grandi squadre abbiano rose imponenti, soltanto che nello stesso vaso ci sono fiori che profumano davvero ed altri che sembrano un po’ finti, anche se poi se ne vanno nel cestino flosci come il Rui Costa del calcio telefonato.
Pippo Inzaghi telefona a Lippi, lo ha fatto anche Cassano, ma certo avere un tipo del genere nel gruppo è una goduria perché se gli altri si amministrano, passeggiano, fanno il compitino come Vogel o Jankulovski, lui ha dentro quel fuoco che ti fa dimenticare la sua età e ti lascia sbalordito perché giocando così poco è già arrivato a dieci gol in campionato.
Gigi Cagni guarda sconsolato nella sua trappola dove non resta neppure un ciuffo del pelo di questa volpe milanista che se la cava alla grande, quando la gente cominciava ad innervosirsi, scegliendo bersagli, sparando persino due fumogeni dentro il prato di San Siro come se non fosse noto a tutti che in periodo di tolleranza zero si può rischiare pure la sospensione della partita. Dondarini, memore della brutta domenica passata con l’Inter, è andato oltre in un pomeriggio dove davvero non ha avuto il minimo problema, ammonendo soltanto Vogel, ma proprio per non tornare a casa senza niente da scrivere.
Valutare questo Milan pensando al Bayern non ha senso. Era sul traghetto per l’isola dove in cinque giorni, tedeschi e poi Juventus, capirà se davvero questa stagione ha ancora una vita, se ci sarà il piacere di toreare fino in fondo. L’Empoli ha fatto tutto benino, intossicandosi alla distanza appena ha visto che con Ricardo l’artista c’era un nuovo colore su quel campo dove scivolavano tutti quasi avessero voluto solidarizzare con Carolina Kostner.
Niente da fare nel momento in cui Kaladze ha sfoderata la lama, messo una palla verticale su Inzaghi infilatosi nel cuore di una difesa senza fortuna.

Quattro minuti e Shevchenko raddoppiava con tocco morbido, mano sul cuore. La vendemmia in otto minuti premiava ancora Inzaghi, uomo ragno che dal rumore del pallone colpito male intuiva che ogni scherzo vale in questo carnevale milanista.

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