«La legge non ci avrebbe difeso» Enrico Oliari spiega perché è sbagliata l’aggravante omofobia: «La vera svolta consiste nel cambiare la mentalità della gente, puntando sulla difesa dei diritti»

La legge anti-omofobia non ce l’ha fatta. Qualcuno grida allo scandalo, l’Onu si indigna, c’è polemica, c’è dibattito, ci sono omosessuali sul piede di guerra. Ma ci sono anche gay che dicono: meglio così, fatta in quel modo non aveva senso. «Quella legge non avrebbe migliorato di una virgola la nostra condizione». Enrico Oliari, presidente nazionale di GayLib, gay liberali di centrodestra, è uno di loro, uno «perplesso» di fronte alla legge Concia.
Deluso?
«No, diciamo quasi contento».
In controtendenza rispetto al mondo gay.
«Gli omosessuali non sono una categoria metafisica. Non hanno tutti lo stesso cervello. Non pensano le stesse cose. Lo sa? Sono come gli eterosessuali. Ci sono quelli che vedono bianco, quelli che vedono nero o grigio».
Perché non le piace la legge?
«Noi del movimento gay di centrodestra l’abbiamo sempre considerata una cura palliativa. Ai gay non serve una legge che introduca l’aggravante della discriminazione».
Il rischio è considerare i gay una specie protetta.
«Ecco, appunto. La grande sfida è arrivare un giorno a percepire i gay come persone normali, persone qualunque. È la mentalità che deve essere cambiata, bisogna agire sulla società. Solo così si previene l’omofobia».
A cosa servirebbe l'aggravante?
«Non a molto. Basta vedere cosa è successo sulle leggi sull’antisemitismo. Il razzista non viene fermato dall’idea di farsi un paio di mesi in più di carcere. Così succederebbe per l’omofobia. È la cultura che va cambiata».
I gay sono ancora discriminati?
«Certo. Lo sono sempre stati e continuano ad esserlo. Ma attenzione: non si può parlare di emergenza omofobia. Ad aumentare sono state le denunce non i casi di violenza. Prima c’era molta più vergogna e paura di denunciare».
Quali sono le battaglie che omosessuali e lesbiche dovrebbero fare?
«Lo Stato deve dare diritti, deve emancipare. L’Italia è rimasta l’ultimo Paese, insieme alla Grecia che non riconosce i diritti. Noi non chiediamo di adottare figli, io personalmente sono contrario, ma la coppia gay deve trovare la giusta tutela che merita. E poi ci sono una serie di miti da sfatare».
Ad esempio?
«Gay è bello. Non è vero, quello dell’omosessualità non è un mondo incantato. E soprattutto il movimento gay non è di sinistra».
In che senso?
«La sinistra ha sempre sbandierato la sua solidarietà. Tutto in linea teorica. La destra invece ha aperto le porte alla comunità gay. Lo ha fatto il sindaco Alemanno. Veltroni all’epoca lo ha sempre promesso ma non ha mai trovato il tempo di farlo. Ma oltre ad Alemanno ci sono stati anche Mara Carfagna, Fini».
L'arcigay un anno fa invitò il ballerino Bolle a «scoprire le carte». Bolle rispose che le sue preferenze sessuali erano un affare privato. Perché le associazioni gay cercano sempre di arruolare vip?
«Io penso che sia sempre d’obbligo distinguere il privato dalla politica. E anche su questo bisognerebbe riflettere di più. L’arcigay ha 130mila iscritti. Il movimento gay è un po' più numeroso».
L’identità gay non sta diventando un po' kitch?
«Guardiamo ad esempio il Gay Pride: sono stati lanciati messaggi controproducenti. Da manifestazione sindacale è diventata una carnevalata imbarazzante. Quando l’ho fatto notare mi hanno detto: il Gay Pride è anche una festa. Ma cosa c’è da festeggiare?».
La legge italiana prevede già un’aggravante che tutela gli omosessuali: i reati commessi per motivi abietti. Non bastava questa?
«L’Italia ha ratificato il Trattato di Lisbona che rinforza questo concetto.

Le persone non devono essere discriminate in base a orientamento religioso o sessuale. Che poi è la stessa linea espressa dal ministro Carfagna. La legge Concia invece non andava in questo senso, e il reato viene riconosciuto solo sulla querela di parte. Ed è già un controsenso».

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