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Legrottaglie e Sissoko, uniti e divisi in nome di Dio

Nicola fervente cristiano, Mohamed musulmano. L’italiano: «Un giorno gli spiegherò come è bello seguire la parola di Cristo»

da Torino

Nicola, prima di entrare in campo, ascolta le canzoni di Michael W. Smith e Corrado Salmè, due tra gli autori più famosi di musica cristiana. Momo, appena prima di lasciare la sua stanza d’albergo, prega. Nicola fa di cognome Legrottaglie, Momo è Mohamed Sissoko: Atleta di Cristo (movimento fondato nel 1984 in Brasile dagli ex calciatori Joao Leite e Baltazar, avente come scopo la promozione del Vangelo attraverso lo sport) il primo, musulmano il secondo. Compagni di squadra nella Juventus. Uniti dallo stesso scopo: riportare in alto la Signora del calcio italiano.
Ragazzi intelligenti, certo: pregano Dio, ma in modo profondamente diverso, tanto più di questi tempi. Fra loro non ci sono però tensioni o incomprensioni. «Va benissimo che Momo sia musulmano - è il parere del difensore, tornato quest’anno ad alti livelli dopo una serie di stagioni sfortunate -. L’importante è che ognuno sia felice di ciò che ha e di come si sente. Io ho scoperto Dio due anni fa attraverso la lettura della Bibbia e grazie all’aiuto di un mio compagno di squadra di allora (Tomas Guzman, paraguaiano cresciuto nella Juve ma all’epoca al Siena, ndr): ho scoperto un nuovo mondo e non l’ho più lasciato. Da allora sono molto cambiato, decisamente in meglio. Frequento abitualmente la Chiesa evangelica, vi ho trovato rifugio e sollievo». Un altro uomo, desideroso di confrontarsi e di capire: «Momo è un bravo ragazzo, si è inserito benissimo nel nostro gruppo. Ha un’altra fede rispetto alla mia, ma davvero non c’è problema: se un giorno ci troveremo a parlare di religione, gli farò presente quanto è bello seguire la parola di Cristo. Il confronto è la cosa più bella che ci sia: serve a migliorarsi, sempre e comunque, anche se poi ognuno rimane delle proprie idee».
Momo è arrivato a Torino, da Liverpool, da poco più di una settimana: per il momento senza famiglia, anche se a breve si farà raggiungere dalla moglie Sokona e dalla figlia Aicha. In attesa di trovare una sistemazione adeguata, vive in un albergo del centro cittadino. Ragazzo tranquillo e posato, ha già chiesto informazioni su dove poter praticare il suo culto. La comunità islamica torinese è stimata intorno a 15.000 persone: la moschea più grande e famosa (ma, va detto, anche al centro di qualche indagine giudiziaria) si trova a due passi da Porta Palazzo, ma pare che il maliano preferirebbe un’atmosfera più calma e tranquilla. Meglio frequentare gli ambienti giusti, insomma.
«La religione è una cosa molto importante, per me. Mi permette di avere il giusto equilibrio e gioca un ruolo fondamentale in tutti gli aspetti della mia vita. Ringrazio sempre Allah per tutto quello che mi ha dato». Pregandolo prima e dopo ogni match, recandosi ogni venerdì in moschea, osservando il più possibile i fondamenti del Corano. Ponendosi nei confronti del prossimo con il massimo rispetto, consapevole delle difficoltà che hanno avuto i suoi genitori per far crescere quindici figli: «Ringrazio sempre Dio per avere avuto un papà e una mamma come Mohamed e Fatou - ama raccontare lui, Zidane e Kobe Bryant come sportivi preferiti -. Poteva mancarci qualcosa di materiale, ma siamo stati educati bene e con amore. Non mi hanno mai ostacolato nelle scelte, incoraggiandomi a giocare a calcio visto che era quello che volevo. La religione ha fatto il resto: l’Islam mi ha dato la giusta disciplina e la forza necessarie per non mollare, insegnandomi ad avere rispetto per il mio corpo. Per questo prego tutti i giorni: mi sento bene quando lo faccio.

Sono in contatto diretto con Dio, in quel momento credo fortemente che ci sia qualcuno che si occupa di me».

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