Leo: «Che casino da bar In Italia manca il fairplay da Champions»

nostro inviato a Milanello

La cultura della Champions contro la cultura del sospetto all’italiana. Nel giorno in cui, altrove, si parla dell’amore che vince sull’odio, anche Leonardo, discutendo di calcio, a Milanello, non raccoglie la sfida della polemica velenosa. Anzi se ne tiene a distanza di sicurezza, spiegandone semmai l’origine, rifiutandosi in modo diretto e ripetuto, di duellare con Mourinho, campionissimo nel sollevare polveroni pericolosi. «Io di Mourinho non so niente, me lo dite voi, mi fido ma non so e allora sto zitto però mi dispiace di questo casino da bar e spero si possa costruire un rispetto e un’etica simile a quella che c’è in Champions league» è la sua dichiarazione di principio. Netta, trasparente, scolpita dalle parole che non si prestano a speculazioni giornalistiche. Mourinho non c’entra, allora.
C’entra, invece, eccome, il circuito mediatico italiano, pronto ad ignorare 3-4 rigori vistosi negati al Chelsea come ad esaltare una svista di qua, un errore di la. «La Champions e il campionato italiano sono due realtà diverse. Gli episodi avvenuti nel nostro calcio con squalifiche e penalizzazioni fanno sì che ci voglia del tempo per ricostruire l’ambiente e il clima giusti. Ma sarebbe il caso di darsi una calmata e di guardare alla Champions o a quanto avviene in un mondiale, dove non si discute per un rigore, come a un esempio positivo, da imitare»: Leonardo ha una spiegazione storica per spiegare quel viperaio che si scatena dopo ogni partita del nostro torneo. Doppiopesisti: ecco il nostro vizio capitale.
Uno che parla così e che potrebbe concorrere al premio Fifa fair-play non può che cogliere l’unica, autentica analogia tra la stagione attuale e quella del ’99, con Zac in panchina, vissuta da calciatore debilitato dalla pubalgia. «Allora come oggi partimmo con lo sfavore del pronostico, allora come oggi la baracca è stata tenuta in piedi dalla vecchia guardia» è il riconoscimento solenne di Leonardo. Allora furono Boban e Costacurta, Maldini e Albertini col contributo decisivo del giovane Abbiati e delle capocciate di Bierhoff, oggi tocca a gente come Inzaghi e Seedorf, pronti a rientrare da protagonisti nel Milan di oggi, al cospetto del Napoli rampante di Mazzarri, seguito e scortato da un gran numero di sostenitori, a dispetto del divieto prefettizio (sapete quanti napoletani vivono e risiedono in Lombardia?) che ha chiuso il terzo anello.
Sarà la rabbia covata da Pippo uno degli elementi distintivi della rincorsa Milan, scandita da un clima di grande serenità e compostezza, neanche una parola fuori posto. Inzaghi ha molti sassolini nella scarpa da togliersi. Nei confronti della critica. «Qualcuno qui mi dava per morto, sono più vivo che mai» ha chiosato ieri a Milanello incrociando il vecchio cronista. È così: quando c’è stato da scegliere tra lui e Huntelaar, abbiamo votato per l’olandesino che a Manchester ha perso il tram chiamato desiderio. Contro il Chievo, Pippo ha dato una botta di adrenalina a tutto il Milan. Gli ha conferito tutte le qualità smarrite da Borriello nel frattempo debilitato da una forte tonsillite. Giusto riproporlo col Napoli. Un girone dopo. Già perché l’ultima esibizione di Pippo da titolare fu nella sfida di Napoli, aperta dal gol suo e di Pato, e chiusa invece dalla rimonta di Cigarini e soci. La primavera è la sua stagione. In altri tempi, Inzaghi fu il re di coppe, principe di Atene, Montecarlo e Yokohama. Deve accontentarsi di domare l’assalto dei napoletani.


Assistito dal talento di Clarence Seedorf, un altro esponente del nucleo storico, deciso a rinnovare il contratto e circondato da quell’aurea che gli fece rispondere, al tecnico che glielo chiedeva domenica notte, «te la senti di entrare?», in modo strepitoso, «io sono nato pronto». Ha poco da perdere e tutto da guadagnare il Milan. Per questo torna al 4-2-fantasia.

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