Leonardo e il metodo Gandhi «Niente urla, solo abbracci»

nostro inviato a Milanello

Lo ricorda Adriano Galliani, sensibile ai corsi e ricorsi storici: «Quando si vince a Torino con la Juve, di solito si vince lo scudetto». Verissimo. Ma il segno 2, negli ultimi dieci anni, è stato registrato una sola volta, nel 2004 (ultimo tricolore della casa rossonera) e dopo «calciopoli» c’è stato un rovescio dopo l’altro, sei gol subiti dal Milan, alcuni dei quali al culmine di duelli in quota, di testa insomma. La lezione, semplice semplice, è la seguente: il Milan è inadempiente da troppo tempo contro la Juve.
Leonardo, conosce tutte queste cifre deprimenti?
«Le conosco, le conosco. È vero: manca a questa squadra la grande impresa in campionato, in Champions è arrivata a Madrid per esempio. Non deciderà granché il suo esito ma di sicuro il valore non è quello tradizionale dei 3 punti».
La Juve sembra più conciata rispetto al Milan...
«Il vero deficit della Juve rispetto al resto della compagnia è l’eliminazione dalla Champions. La condizione generale è simile, abbiamo fatto i conti con una bella striscia di infortuni. Loro non hanno mai perso forza e grinta, la nostra ripresa è stata positiva ma non è sufficiente: c’è bisogno di continuità per aspirare a un ruolo di primo piano».
Si è specchiato nei tormenti vissuti da Ferrara a Torino?
«Io e Ciro siamo amici oltre che complici. Quest’estate ci siamo incontrati a Capri, abbiamo parlato a lungo. Nonostante le critiche, continuo a trovarlo sereno, oltre che sostenuto dalla sua società».
Lei ha giocato nel Flamengo con Felipe Melo: ma in che ruolo veniva utilizzato in Brasile?
«Da centrale di centrocampo, ha sempre avuto quella vocazione. È un tipo molto esuberante dal punto di vista fisico e questo lo ha portato a spingersi in avanti, a cercare altre soluzioni ma l’inizio è stato quello».
Da Galliani e da Sacchi, in particolare, sono arrivati molti elogi: rischia l’ubriacatura?
«Con Galliani ho un rapporto di grande amicizia, nel rispetto dei diversi ruoli. Al Milan non sono legato da un contratto, mi piace tantissimo lavorare in un clima come questo che si respira a Milanello. Faccio invece grande fatica ad accettare gli elogi di Arrigo, che pure è stato uno che ha cambiato la storia del calcio italiano».
Ma davvero siamo, come dice l’ex Ct, al calcio totale del Milan?
«Lui guarda e giudica da allenatore esperto. Io penso che stia succedendo qualcosa di molto naturale: aggiungiamo, partita per partita, qualcosa alla costruzione iniziale. Quello che conta non è la formula tattica ma lo spirito».
Cinque-sei infortuni durante la preparazione post-natalizia senza giocare partite: non sono troppi?
«La squadra aveva bisogno di riposare anche con la testa, perciò ho cancellato il viaggio della preparazione al caldo. Non dimenticate che l’anno scorso Kakà ebbe un acciacco al polpaccio e saltò il periodo di Dubai».
Come può Lippi ignorare questo po’ po’ di Ambrosini?
«Io valuto la materia sempre con il buon senso ma riconosco che nel caso di Ambrosini, se continua con questo rendimento, Lippi avrà il mal di testa prima di decidere. Anche perché nel frattempo il nostro ha aggiunto alle note qualità anche personalità e intelligenza».
Pirlo continua a lamentarsi della schifezza dei campi: è un danno per il Milan?
«Il calcio italiano sconta, in proposito, il ritardo di un progetto e la mancanza di investimenti adeguati. Le condizioni dei campi influisce tantissimo sulla resa del Milan».
L’Inter resta imbattibile?
«Dobbiamo mantenere l’ottimismo, nonostante il distacco in classifica e concentrarci solo ed esclusivamente sul nostro gioco. I risultati nel mese di gennaio saranno decisivi».


È sempre dell’idea che valga più il sorriso che la politica della carota e del bastone?
«Io sono per l’amore e per gli abbracci: danno più risultati, come ho provato io con i miei genitori e i miei allenatori, persino con Capello. E poi si possono dare bastonate senza alzare la voce. Guardate Gandhi: ha liberato l’India senza alzare mai la voce».

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