N on è facile trovare due figure tanto diverse. Eppure il liberale Bruno Leoni e il cattolico Luigi Sturzo hanno più di un punto in comune e proprio per tale ragione si sono spesso trovati sulle stesse posizioni allinterno del dibattito sulla politica economica del dopoguerra.
A lungo marginalizzati per la loro avversione al dirigismo pubblico, oggi riscoperti (con pubblicazioni e convegni) anche in ragione del fatto che la crisi europea attuale è la crisi di quello statalismo che essi hanno tanto denunciato e contro cui si sono molto battuti. LEuropa del nostro tempo ora non si troverebbe nellimpasse che la caratterizza - tra tagli di bilancio, disoccupazione, sacrifici a 360 gradi - se voci come quelle di Sturzo e Leoni fossero state ascoltate. Essi denunciavano lirresponsabilità dei politici proprio quando si ponevano le premesse per quello sfascio che ora è dinanzi a noi.
Nonostante appartengano a generazioni e sensibilità assai distanti, questi due straordinari uomini di cultura del secolo scorso mostrano notevoli assonanze, poiché entrambi avevano compreso come lo statalismo partitocratico rappresentasse una terribile minaccia per la società e riproponesse le logiche totalitarie sotto unaltra forma. Nei loro commenti ai fatti del dopoguerra domina la convinzione di assistere a una costante erosione dellautonomia della società: e al trionfo dellirresponsabilità.
Le loro opinioni sugli anni Cinquanta e Sessanta, che per vari versi hanno preparato il disastro attuale, sono ora facilmente consultabili grazie a un paio di antologie, le quali raccolgono loro corsivi giornalistici: Il pensiero economico di Sturzo (edito da Il Sole 24 Ore, 22 euro) e Libertà economica e collettivismo di Leoni (pubblicato da Rubbettino, 15 euro). Due volumi assai differenti, ma da cui traspare unanaloga passione per la libertà delluomo e la consapevolezza che lespansione delle politiche industriali e del welfare avrebbe minato, come poi è successo, il futuro dellItalia.
In tal senso è interessante leggere le parole che Sturzo utilizzò, nel 1951, per rispondere a Ernesto Rossi, che laveva accusato di essere un «liberista manchesteriano». Sturzo non smentisce e anzi ricorda le sue antiche battaglie contro il dazio sul grano - simili alle lotte di Richard Cobden contro le corn laws - e la stessa adesione «alla corrente guidata da Enrico Giretti». Per poi aggiungere, ad ogni modo, che «il liberismo puro è una concezione irrealistica».
Su questultimo punto Leoni non avrebbe seguito il fondatore del Partito popolare, specie se si considera il rigore che egli esibì sempre nella difesa della proprietà: come quando combatté il piano casa di Fanfani e le leggi agrarie contro il latifondo. Ma lo stesso antistatalismo di Leoni, sul confine di quello che oggi chiamiamo libertarismo, ha parecchio da apprendere dallautore dellAppello ai liberi e ai forti quando questi indaga la dimensione metafisica del potere.
In particolare, cè un passaggio in cui il sacerdote critica Alcide De Gasperi con le seguenti parole: «Si può essere contro lo statalismo e ammettere la statizzazione di qualche servizio; come si può essere statalista e ammettere la privatizzazione di qualche servizio». Sturzo lascia intendere che egli avrebbe anche perdonato al leader democristiano talune decisioni interventiste, ma non poteva rimanere in silenzio di fronte alla mitologia del potere sottesa allazione di governo. Allorigine della battaglia liberista di Sturzo, insomma, vi era il rigetto dellidea che lo Stato fosse la soluzione di ogni problema: una panacea destinata a incantare le classi dirigenti e i ceti popolari.
Tra i due studiosi, dunque, laccordo è solido.
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