Caro Granzotto, seguo da tempo con un po di disappunto, molto interesse e altrettanto divertimento le sue dotte risposte ai quesiti linguistici e ortografici posti dai lettori. Le spiego lorigine del mio disappunto. Tempo fa le scrissi vanamente per ben due volte sottoponendo al suo autorevole giudizio una curiosità in cui mi ero imbattuta leggendo lepistolario leopardiano e il suo Zibaldone. Nelle lettere ricorre la forma «il zio, i zii». Invece nello Zibaldone sono incappata in «stasse» (congiuntivo imperfetto di stare) e in «qualè». Le chiedo: forse Leopardi era un po deboluccio in grammatica e ortografia? O forse allora era ammesso ciò che oggi è ritenuto gravemente scorretto? E perché mai? Si dà il caso che io, in qualità di insegnante di Lettere, abbia sempre censurato i «qualè» e gli «stasse» (riguardo a «il zio» non mi è mai capitato di pronunciarmi, essendo forma non ancora «scoperta» dai miei ragazzi). Che pensare allora? Confido questa volta in una sua risposta perché, essendo evidente linteresse dei lettori per simili questioni, penserei ad una vera e propria discriminazione.
Ebbene sì, credo che in qualche modo la discriminazione centri. Ma prima di parlarne, permetta chio mi giustifichi, tanto è una cosa che sbrighiamo in quattro e quattrotto: non mia fu la colpa di non aver dato corso alla sua lettera, ma occorre dirlo? di Enzino Meucci, il padre padrone di questa pagina, il giudice inappellabile che legge e smista la corrispondenza dei lettori. Forse sapendomi ecco che arriviamo alla discriminazione poco leopardiano ed anzi, diciamocela tutta, decisamente antileopardiano, non volle guastarmi la digestione rifilandomi una lettera che al pigolante recanatese si riferiva. Sono consapevole che parlar male di Leopardi è peggio che parlar male di Garibaldi, ma cosa vuole che le dica, gentile lettrice? A me i passeri solitari, le donzellette, le Silvie, la luna in ciel, i pastori erranti e gli ermi colli non sono mai andati giù. Non mi è mai andata giù la svenevolezza, i sospiri che cadenzano la snervata se non proprio smidollata poesia leopardiana. A me piace Foscolo. Uno che ha capito cosa sia la tragedia e non la confonde con il morbillo. Non può immaginare quanto poi mi infastidisca la retorica su Leopardi, la solfa sulla biblioteca del padre Monaldo (buono, quello), la salute malferma, lappiccicaticcia autocommiserazione, lo struggersi nel vorrei ma non posso. E, per venire al Leopardi prosatore, laffettazione dellintellettuale di provincia che traspare (e traspira, suda) negli scritti come lo «Zibaldone», titolo che più provinciale, più donzellesco non si può.
Enzino, dicevo, sa che lho in uggia, il Leopardi, ma da vero gentiluomo qual è non si mette a tener testa ad una signora e così mi ha trasmesso questa ultima lettera, alla quale rispondo non solo volentieri, ma anche a tambur battente. Listinto mi porterebbe a risponderle che sì, la «Musa gobba» (copyright Niccolò Tommaseo) era un po deboluccia in grammatica e ortografia, ma sarebbe maramaldeggiare e non è bello. «I zii», «il zio» e anche «stasse», secondo me sono le estreme contrazioni della anarchia grafica e grammaticale che vedeva da un lato il sopravvento della «g» sulla «i» («iusto» diventa, per dire, «giusto»), lavanzata del dittongo («scola» diventa «scuola») e lo scontro frontale di «in laltra» con «nellaltra», di «el» e «il» e, appunto, di «il» con «i». Insomma, normale amministrazione. Più difficile mi sembra giustificare quel «qualè» con lapostrofo quando, cascasse il mondo, non ci va. E se la liquidassimo come licenza poetica? In genere funziona.
Paolo Granzotto
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.